L’officina Chigi a Villa Farnesina
La collezione d’arte antica del ricco banchiere, amatissima e studiata da Raffaello, è stata riallestita nella dimora per cui nacque

La mostra «Raffaello e l’antico nella Villa di Agostino Chigi», aperta nella Villa Farnesina dal 6 aprile al 2 luglio, individua nella storia di un’amicizia tra un artista e un mecenate uno snodo fondamentale dell’arte rinascimentale. Curata da Costanza Barbieri e Alessandro Zuccari, l’esposizione è costituita dal riallestimento di parte della collezione d’arte antica del ricco banchiere, amatissima e studiata dal Sanzio, negli ambienti per cui la raccolta nacque: statue, rilievi, medaglie e spettacolari cammei tornano così a casa, grazie ai prestiti dal Mann di Napoli, dagli Uffizi, dai Musei Capitolini, dal Museo Nazionale Archeologico di Palazzo Altemps, dai Musei Vaticani, dal Kunsthistoriches Museum di Vienna e dalle Staatliche Kunstsammlungen-Skulpturensammlungen di Dresda.
La Villa di Agostino Chigi, dal 1579 diventata Villa Farnesina, è nota per essere uno scrigno di capolavori affrescati nel secondo decennio del ’500 da Raffaello, Sebastiano del Piombo, il Sodoma e Baldassarre Peruzzi, che firmò anche il progetto architettonico. Questa mostra, sostenuta dall’Accademia nazionale dei Lincei, che nella Villa ha sede, fa luce su una stagione del collezionismo rinascimentale che, alla stregua del Giardino di San Marco a Firenze sotto Lorenzo il Magnifico, ebbe ripercussioni sullo svolgimento dei linguaggi artistici. D’altronde, anche Agostino era detto «il Magnifico».
«La svolta classicista di Raffaello del 1510-12 ha molto a che fare con le opere d’arte antica collezionate da Agostino Chigi, spiega Costanza Barbieri. Queste ebbero infatti l’effetto di alimentare il fervore di scoperta e l’entusiasmo filologico dell’Urbinate, oltre a fornire modelli e spunti per opere sue e della sua cerchia. La collezione del Chigi fu una vera officina, dove l’antico si trasmutava creativamente nel moderno».
Nelle sale della cinquecentesca Villa sul Tevere tornano ora statue quali l’«Arrotino» della Tribuna degli Uffizi, i busti marmorei di «Geta» e «Giulia Mamea» dei Capitolini, o gruppi scultorei come il «Ratto d’Europa» dai Vaticani e il «Pan e Dafni», proveniente da Palazzo Altemps, ricordato nella dimora chigiana da Pietro Aretino, che gli dedica alcuni sonetti, ma nel ’600 anche da Fabio Chigi, divenuto papa col nome di Alessandro VII, e discendente del «magnifico» mecenate.
Tra i «ritorni» più significativi, quello della «Psiche Capitolina» nel Loggiato di Amore e Psiche, spazio per cui fu acquistata. Nella volta, dipinta dalla scuola di Raffaello su disegni del maestro, la figura di «Psiche che offre l’ampolla con il segreto dell’eterna giovinezza a Venere» è tratta proprio dalla statua, con un rimando in cui brilla tutto il senso della parola Rinascimento. Altre sculture in mostra sono state riconosciute quali modelli di copie o suggestioni formali per artisti della cerchia raffaellesca.
Di Agostino Chigi fu invece sicuramente un cammeo ellenistico raffigurante Marte e Venere da un lato e Minerva e un imperatore sull’altro, tra i vertici della glittica di tutti i tempi, che giunge da Vienna. Alla corte del Chigi tuttavia si riunivano anche dotti e umanisti. Una sezione della mostra è dedicata proprio a loro, con opere originali con cui questi celebravano proprio i fasti della Villa.
«La Villa funzionava effettivamente come una vera corte, continua Costanza Barbieri, un’estensione laica dei Palazzi Vaticani, dove feste sensazionali, spettacoli teatrali, musica e banchetti intrattenevano ospiti illustri e amplificavano la grandezza della Roma pontificia». Secondo il cocuratore Alessandro Zuccari, «la Villa fu centro di irradiazione culturale: Agostino Chigi si circondò di artisti e umanisti per celebrare in prima istanza sé stesso, ma in secondo luogo l’amore per la cultura. Realizzò per questo un modello di Villa ovunque imitato, per l’incantevole equilibrio di architettura e natura, antico e moderno, pittura e letteratura».