L’irresistibile attrazione della copia
Che cosa eccita il collezionista quando si trova di fronte a una riproduzione conclamata, certa, evidente, carente solo della relativa carta bollata?

L’antiquario Nicolas Landau dispensava volentieri questa massima agli amici: «Non acquistare mai un originale la cui copia è al Louvre» (lo ricorda Alvar González-Palacios nel suo ultimo, bellissimo, libro: Forse è tutta questione di luce. Ritratti e incontri). Intendeva dire che era inutile mettersi contro qualcuno di più grosso di voi, con maggiore storia e conoscenza alle spalle. Anche se può suonare paradossale non è escluso che esista un originale la cui copia è esposta al Louvre: difficile ma non impossibile. È sicuramente più frequente imbattersi in una delle migliaia di copie tratte dagli originali che sono nei musei, questo è ovvio.
Mi sono sempre chiesto che cosa ecciti il collezionista quando si trova di fronte a una copia conclamata, certa, evidente, carente solo della relativa carta bollata. È l’invincibile desiderio di sperimentare l’azzardo? È la convinzione di essere i migliori? Dopotutto che cosa pretendevano di sapere quelli prima di me? Interpretare la battuta per palati fini di Landau nel senso opposto significa sbagliare con metodo scientifico, in una parola manifestare la propria cocciuta ignoranza. D’altronde il collezionismo non è certo un fenomeno paragonabile alla scienza esatta, spesso somiglia piuttosto a una malattia da curare in un reparto psichiatrico. Per fortuna non è sempre così.
Ora veniamo a un caso concreto che illustra bene la sindrome di cui stiamo parlando. In una recente asta viennese di dipinti antichi di Dorotheum (9 novembre), il top lot è stata una «Madonna con il Bambino» attribuita a Giovanni Bellini e collaboratore. Da quello che si poteva apprezzare dal suo stato larvale (frutto di un malriuscito trasporto da tavola a tela) sarebbe stato meglio invertire i termini della questione e riferirla a collaboratore di Giovanni Bellini, ma tant’è, siamo abituati all’uso disinvolto dei battesimi. In fondo che differenza c’è tra la verità e la finzione? Non è preferibile addomesticare la realtà al fine di raggiungere i nostri scopi?
Se conoscessimo i due collezionisti che hanno spinto la stima (250mila euro) fino a 1,13 milioni (1,4 milioni coi diritti) potremmo sapere che cosa diavolo gli stesse frullando nella testa? Sono russi, europei, asiatici o americani? Chi lo sa. Sono «billionaire» che raccolgono ciarpame in giro per il mondo, rinchiusi in una vasta tenuta protetta col filo spinato? Come i coniugi rappresentati da Paul Auster nella Musica del caso che se ne stavano placidamente circondati da oggetti apparentemente insensati: «una matita che era caduta dalla tasca di Enrico Fermi nel 1942, un sigaro fumato a metà sottratto da un portacenere dell’ufficio di Winston Churchill», l’ombra di un quadro della bottega di Bellini il cui originale sta alle Gallerie dell’Accademia a Venezia... «Ma il nostro è più bello! Guarda attentamente».