L’intero percorso di Warhol alla Fabbrica del Vapore

Tra le 300 opere esposte anche la ricostruzione di un ambiente della sua prima Factory e una sezione muldimediale con film da vedere con gli occhiali 3D

La Polaroid «Andy Warhol in Drag», 1981, collezione privata
Ada Masoero |  | Milano

È un artista che ha rivoluzionato i codici delle arti non solo visive (pittura, grafica, cinema, musica) del secondo ’900 ma è stato anche un «sociologo» acuminato, perché le sue opere d’arte sono anche analisi affilate della civiltà dei consumi esplosa nel secondo dopoguerra negli Stati Uniti e, di lì, nel resto del mondo occidentale. Nessuno come Andy Warhol (nato Andrew Warhola, nel 1928) seppe infatti tradurre in immagini altrettanto efficaci la nuova cultura di massa americana, scalzando i mostri sacri della generazione precedente, quei celeberrimi espressionisti astratti che avevano incarnato nelle loro opere l’angoscia e i lutti della seconda guerra mondiale.

Dopo gli esordi, negli anni Cinquanta, come pubblicitario e illustratore d’importanti riviste newyorkesi, Warhol concepisce l’intuizione che renderà unica la sua arte, servendosi, sul piano dei contenuti, della ripetizione ossessiva dell’immagine, su quello tecnico, del procedimento serigrafico, che gli permette di moltiplicare senza limiti l’opera, facendone un bene potenzialmente accessibile a tutti. I soggetti sono tratti dalla vita quotidiana: volti di celebrità (Marilyn Monroe, Liz Taylor, Elvis Presley, Mao...) e immagini d’incidenti pubblicati su giornali e magazine; pubblicità e prodotti di larghissimo consumo, come la Coca Cola.

Così fu anche con le «Campbell’s Soup Cans» (dal 1962) o le «Brillo Box», sculture che imitano perfettamente le scatole di spugnette saponate, che nel 1964 lui espose, impilate come nei supermarket, alla Stable Gallery di New York, suggerendo profonde riflessioni sugli statuti dell’arte al celebre critico Arthur Danto e guadagnandosi l’ammirazione del (fino ad allora assai critico) potentissimo mercante Leo Castelli. Di qui in poi, sarà un crescendo di successi e di fortuna internazionale. Fino alla morte, nel 1987, per un banale intervento alla colecisti.

A oltre dieci anni dall’ultima mostra pubblica milanese, Milano-Cultura e Navigare presentano, dal 22 ottobre al 26 marzo alla Fabbrica del Vapore, la grande mostra «Andy Warhol. La pubblicità della forma», curata da Achille Bonito Oliva con Edoardo Falcioni per Art Motors, Partner BMW (in mostra, con la ventina di tele, 50 opere uniche serigrafiche, disegni, fotografie, dischi originali, T-shirt, il Commodore Amiga 2000 con le sue illustrazioni originali e la BMW Art Car da lui dipinta): un itinerario attraverso 300 suoi lavori, in cui ci s’imbatte anche nella ricostruzione di un ambiente della sua prima Factory (il grande studio in cui tutto avveniva) e in una sezione muldimediale con film da vedere con gli occhiali tridimensionali.

Perché ancora Warhol? «Perché lo considero il Raffaello della società di massa, risponde Achille Bonito Oliva, colui che ha dato classicità all’arte attraverso un procedimento di moltiplicazione capace di esibire al meglio la società americana, così come Raffaello aveva rappresentato l’apogeo del Rinascimento». In mostra, continua ABO, sono esposte opere «di una collezione straordinaria, che rappresenta l’intero suo percorso creativo e che prova come Warhol abbia saputo dare superficie a ogni profondità dell’immagine, rendendola in tal modo immediatamente fruibile, pronta al consumo come ogni prodotto che affolla il nostro vivere quotidiano».

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