L’insostituibile «moralità» delle gallerie
Non è che le gallerie delle quali abbiamo da anni intonato il de profundis, in realtà abbiano ancora una funzione?

Preso per sfinimento più che per fame, o forse per gola, o per vanità in un momento in cui hai l’autostima più bassa del Pil italiano, hai ceduto ed eccoti a cena con quel simpatico signore, quarant’anni ben portati, che vedi spesso alla fiere o ai vernissage. Lo hai tenuto a bada sino a stasera, perché al secondo vernissage in cui ti ha cuzzato, presto si era rivelato per quello che fa: ambiziose e a volte tecnologiche installazioni evidentemente ancora in attesa di decollo.
All’esoso ristorantino (come ha fatto a sapere che ti piace il baccalà mantecato?) paga il conto. Eppure ti eri opposto, ben sapendo che l’inchiostro per la sua firma sulla ricevuta della carta di credito è la tua condanna a mesi di persecuzione. Dixit Francesco Bonami che in Italia un invito a cena è un patto di sangue. Pensi a lui mentre l’amicone ti accompagna a casa in auto previa deviazione nel suo studio.
È lì,
...
(l'articolo integrale è disponibile nell'edizione su carta)