L’insegnamento in laboratorio: a distanza è impossibile
Prospettive e criticità per l’insegnamento del restauro post Covid-19

Ogni categoria professionale ha sofferto le conseguenze del virus, ognuna secondo le sue specificità. Per l’insegnamento del restauro, le lezioni a distanza sono state praticabili soltanto fino a un certo punto: l’effettiva, fisica prossimità fra docente e allievo è ineliminabile. Ne era conscio già il legislatore, che a suo tempo, nel decreto che istituì il modello moderno di formazione del restauratore (DM n. 87 del 26 maggio 2009, art. 2), stabilì che «una percentuale fra il 50% e il 65% dell’insegnamento complessivo…sia riservata alle attività tecnico-didattiche di conservazione e restauro svolte in laboratorio e in cantiere…e la rimanente alle materie di carattere teorico-metodologico».
Per intenderci: l’insegnamento in laboratorio, con la materiale presenza di tre componenti, il docente, l’allievo e l’opera, non è accessorio o complementare nel percorso formativo, ma strutturale, e forse nel corso degli studi rappresenta proprio la parte più importante. Mentre scrivo, è un problema che presenta ancora criticità di varia natura, cui in parte si sta rispondendo col ricorrere alle nuove possibilità offerte dai decreti riguardanti la Fase 3.
In ogni caso la situazione è fluida e soggetta a cambiamenti in qualsiasi momento. Permangono notevoli difficoltà relative agli insegnamenti in presenza, alle sessioni di laurea e di esami, alle prove di accesso; molti degli allievi hanno comunque a che fare con problematiche derivanti dagli spostamenti, sia pure oggi consentiti anche fra nazioni diverse; la percentuale di ore di didattica riservata agli insegnamenti di storia e teoria (impartibili a distanza) si va esaurendo; i laboratori devono essere attrezzati secondo le nuove norme (con problemi anche economici per gli Istituti che si trovano di fronte a spese non previste), e così via.
La situazione è stata seguita assiduamente dalla Commissione per l’insegnamento del restauro istituita dal Decreto n. 87 sopra ricordato, formata paritariamente da componenti di nomina Mibact e Miur, della quale del resto fanno parte persone direttamente impegnate nell’insegnamento, sia nelle Scuole di Alta Formazione del Mibact sia nelle Università e nelle Accademie d’Arte.
È inoltre da menzionare piuttosto un’altra difficoltà sofferta dalla Commissione a seguito del virus. Fra i suoi compiti stabiliti dal DM n. 87 (art. 5) sta «la vigilanza, per tutta la durata dei corsi, sulla permanenza dei presupposti individuati e sul rispetto delle condizioni stabilite all’atto, dell’accreditamento. A tal fine (continua il decreto) almeno una volta l’anno, effettua verifiche in concreto presso i corsi di formazione». Questa prescrizione di fondamentale importanza, anche per rendere giuridicamente perfetti i pareri emessi nelle sedute di valutazione dei requisiti presentati dai vari soggetti, nei dieci anni di funzionamento della Commissione sostanzialmente non è stata rispettata per mancanza dei finanziamenti indispensabili per le trasferte.
Il problema però sembrava finalmente in via di soluzione dopo le recenti designazioni di Salvatore Nastasi a Segretario Generale e di Mario Turetta a capo della Direzione Generale Educazione e Ricerca del Mibact, con l’indirizzarsi verso un modello diffuso che prevede di mettere le spese delle trasferta in capo ai soggetti da visitare (e ovviamente contenendo le spese con discrezione col limitare il numero dei partecipanti). Il primo programma di visite stilato per il 2020 è rimasto anch’esso, come si immagina, vittima del virus, e andrà rimodulato ormai per l’anno prossimo; anche perché non avrebbe molto senso per la Commissione di verificare le risposte dei singoli istituti nel momento eccezionale dell’emergenza, essendo suo compito precipuo quello di esaminarne invece il funzionamento nei tempi della normalità e regolarità: quelle che ognuno si augura di poter recuperare prima possibile.