L'erotismo da manuale di Giulio Romano

Storia e fortuna dei Modi, uno dei libri più piccanti dell’arte italiana

Marcantonio Raimondi da Giulio Romano, Modo I «Det enda bevarade»
Stefano Causa |

Prima di partire per Mantova (1524) il venticinquenne Giulio Romano appuntò su carta «in quanti diversi modi, attitudini e positure giacciono i disonesti uomini con le donne» (per citare Giorgio Vasari che in un solo aggettivo, indovinate quale, avrebbe concentrato tutto il profumo della Controriforma). Ne risultò un mazzetto di disegni scottanti, «I Modi», che, fiutato l’affare, l’incisore Marcantonio Raimondi s’incaricò di divulgare, procurandosi guai a non finire.

Da qui comincia la storia di sedici immagini di rischiosa emulazione, che entrano ed escono da una storia dell’erotismo (occidentale) come da una porta scorrevole e dove capita d’incontrare, tra i tanti che le compulsarono, Paolo Veronese, Rembrandt, Pinelli, Rodin, George Grosz o Picasso. Non c’è che l’imbarazzo della scelta o, come più appropriato dire in questo caso, la scelta dell’imbarazzo.

Gli originali di questo bignami del sesso, fatto per «trastullo de l’ingegno», non esistono più; ma se ne conoscono stampe e un volume di xilografie. Ne ricostruisce la fortuna Bette Talvacchia, che nel cosmo raffaellesco orbita da oltre quarant’anni avendo già circoscritto il tema per l’indimenticata mostra mantovana di Giulio Romano del 1989. L’affianca Maria Antonella Fusco, tra le più originali e meno allineate storiche d’arte italiane. Ora erotismo è termine diffuso quanto scivoloso, che ogni epoca virgoletta in modo differente.

A Giulio Romano spetta uno dei dipinti più erotici al mondo, gli «Amanti» dell’Ermitage, una tavolona trasferita su tela, in cui i preliminari del coito sono descritti con un meccanismo narrativo ben oliato (due in una stanza vengono spiati da una vecchiona impenitente). L’erotismo, che sta alla pornografia come il racconto all’aforisma, decolla solo nei termini di una storia.

Qualche tempo dopo la partenza di Giulio per Mantova, l’Aretino avrebbe disposto un tappeto di versi pepati, sedici dialoghi in forma di sonetti caudati, su cui adagiare questi disegni, che tutto sono tranne che lussuriosi. Perché ciò che colpisce è il tono muscolare e violentemente anerotico di queste performance dove, semmai, si esprime quel titanismo, quel «mondo come torso» la cui polemica Roberto Longhi coglierà in un genio a lui discaro come Michelangelo. Qui più che il fuoco della passione circola il testosterone.

Diciamo la verità. La coppia di amanti, rigorosamente eterosessuale, s’impegna in circonvoluzioni che ormai potrebbero far drizzare le antenne giusto ai fedeli del circo di Montecarlo. Siamo, insomma, più dalle parti d’una palestra che in camera da letto. Anche le famigerate posizioni si riducono alla climax dell’accoppiamento: non c’è nulla del «o famo strano?» di Verdone e Claudia Gerini in viaggio di nozze (1995), o dei giochi proibiti che tennero piacevolmente occupati, nel primo Ottocento, Hayez con l’allieva e modella Carolina Zucchi (si veda Hayez privato. Arte e passioni nella Milano romantica di Fernando Mazzocca, Allemandi, Torino 1997).

Precedentemente solo lo svizzero anglicizzato Fussli si riappropria del titanismo dei modelli di Giulio, caricandoli di un vitalismo da michelangiolesco nordico. Ma si tratta, appunto, d’una reinvenzione; di una cover. Per cui occorrerà mettersi l’animo in pace (e non solo quello): come sex for dummies i nostri disegni sono poco meno che raggelanti. Anche ai non rari frequentatori dei siti porno in rete si sveleranno le illusorietà di un catalogo di posizioni che, in realtà, ne contempla un’unica e sola. Quella che il madrigalista fiammingo Orlando di Lasso, in una villanella del 1581, «Matona mia cara», avrebbe detto del ficcare.

Che nelle viste di Giulio quest’atto serbi un automatismo, un che di infernalmente iterativo: nessuno lo aveva capito meglio di Fellini quando, nel 1976, coglierà le fornicazioni di Casanova alla presenza di un usignolo meccanico, pronto a scandire il tempo e i colpi. «A far l’amore comincia tu» cantava, nello stesso anno del film, Raffaella Carrà. A scorrere questi disegni dell’officina di Raffaello si è tentati, per questa volta almeno, di passare la mano.

I Modi. Giulio Romano e gli altri, testi di Bette Talvacchia e Maria Antonella Fusco, ed. bilingue, traduzione in inglese di transiting_s.piccolo, Electa, Milano 2019, € 10,00

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Stefano Causa