L’eros della Spigolatrice

La scultura di Sapri: testimonianza storica o esaltazione dell’eterno femminino?

La «Spigolatrice di Sapri» dell’artista lucano Emanuele Stifano
Fabrizio Lemme |

Oltre sessantacinque anni orsono, quando sostenni l’esame di maturità classica, nei libri ufficiali di storia il processo di unificazione dell’Italia veniva presentato come un movimento di popolo tendente a dare al nostro Paese una solida struttura statale. In questa visione, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso conte di Cavour venivano presentati come personaggi che andavano a braccetto tra loro, con la benedizione del giovane sovrano di Sardegna Vittorio Emanuele II.

Peraltro, già in quel momento, gli storici più avveduti la pensavano diversamente e si andava sempre più delineando l’idea che l’unità italiana era stata voluta e attuata da una ristretta élite borghese, di cultura massonica o «carbonara», che se ne riprometteva ingenti lucri: la spartizione delle cosiddette «manimorte ecclesiastiche» (vale a dire, gli ingenti possedimenti fondiari di proprietà di istituzioni religiose) e i grandi processi di industrializzazione del Paese che andava a definirsi. Le masse popolari erano totalmente indifferenti, o addirittura ostili, sia all’una che all’altra occasione storica, essendo coscienti di rimanervi estranee.
La lettura di Il gattopardo è eloquente al riguardo: plebisciti ristrettissimi e comunque truccati nei risultati, il consenso non spontaneo ma fittiziamente costruito ecc. In quest’ottica, le insurrezioni popolari sobillate da Mazzini erano conati destinati all’insuccesso, anche se, alla lunga, potevano indurre una concezione nazionale, più o meno diffusa.

Tra tali insurrezioni si colloca anche quella attuata da Carlo Pisacane e nota come «Spedizione di Sapri»: il patriota, infatti, era convinto che uno sbarco all’interno del Mezzogiorno avrebbe dato occasione a un’insurrezione di popolo, dalla quale si potevano scatenare risultati eccezionali, come quello del crollo del regime borbonico, definito dal grande politico inglese William Ewart Gladstone (1809-98), più volte primo ministro liberale del Regno Unito, «negazione di Dio eletto a sistema di governo».

L’impresa diSapri si colloca nel giugno-luglio del 1857: Pisacane, rinforzate e armate le sue deboli forze con una vera pirateria compiuta nel carcere di Ponza, sbarcò a Sapri (28 giugno), certo che ad attenderli vi sarebbero state intere masse di rivoltosi. Viceversa, si verificò esattamente il contrario: i contadini, infatti, fedeli al re borbonico e armati di forconi, assalirono le sparute forze di cui disponeva Pisacane e le massacrarono. Il patriota trovò la morte, colpito al fianco sinistro da un caporione locale, tale Sabino Laveglia. La spedizione di Sapri fu dunque, almeno al momento, un insuccesso, conclusosi con un processo ai superstiti, condanne a morte commutate in ergastolo ecc.

La vicenda ebbe una immediata eco letteraria: Luigi Mercantini (1821-72), rappresentante dell’epos popolare, già nel 1858 trasse dal fatto un componimento poetico di circa 50 versi, che ebbe larghissima diffusione, anche per la felicità dell’ispirazione. Mercantini, infatti, immagina che Pisacane, al momento dello sbarco a Sapri, si imbatta in una ragazza del luogo, che andava a raccogliere le spighe sfuggite alla mietitura (per questo, il nome di «spigolatrice»), con la quale intreccia un colloquio. La giovane donna, poi, da lontano, assiste alla sua eroica morte, in una battaglia non con le forze borboniche ma contro le masse contadine. Il «refrain» del testo poetico, ripetuto ben sei volte, è nel famoso distico «eran trecento, erano giovani e forti, e sono morti», che, almeno ai miei tempi, quasi tutti ripetevano a memoria.

La lunga digressione storica che precede era ed è necessaria per introdurre l’argomento specifico di questo articolo.

Il 26 settembre scorso, infatti, il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte si è recato a Sapri, ove, insieme con le autorità locali, ha scoperto una scultura della «Spigolatrice di Sapri», realizzata dall’artista lucano Emanuele Stifano. La statua presenta un’immagine femminile coperta da un velo leggero che ne mette in evidenza le procaci e seduttive forme. Esse non hanno nulla a che vedere con quella che, realisticamente, sarebbe stata l’immagine di una contadina del Sud, tozza, rivestita di panni pesanti e priva di qualunque seduttività femminile.

La rappresentazione poetica di Stifano è dunque del tutto diversa dalla realtà: priva di realismo ma esaltazione della seduttività femminile, messa in evidenza dai bei glutei che si intravedono sotto le vesti. Pertanto, si è scatenato subito un putiferio: due deputate del Pd, Laura Boldrini e Monica Cirinnà, hanno infatti osservato all’unisono che la statua rappresentava «uno schiaffo alla storia delle donne che sono ancora solo corpi sessualizzati», auspicando la rimozione dell’opera.

A questo attacco, l’autore ha replicato che «l’anatomia non doveva essere una istantanea fedele di una contadina dell’Ottocento, bensì rappresentare un ideale di donna, evocarne la fierezza, il risveglio di una coscienza, in un attimo di grande pathos». Inoltre Stifano ha rivendicato la propria lealtà creativa in quanto, prima di realizzare l’opera definitiva, ne aveva sottoposto il bozzetto al sindaco di Sapri Antonio Gentile, politicamente di Italia Viva, ossia un «renziano», che lo aveva pienamente approvato.

Che cosa pensa, a questo punto della vicenda, l’avvocato dell’arte? La creatività è libera di esprimersi come l’autore l’ha concepita e quando questi ne ha addirittura sottoposto il bozzetto al committente, ricevendone l’approvazione, non si vede di cosa lo si possa rimproverare. In verità, mi sembra che le osservazioni esposte da Stifano siano pienamente da condividere, quando egli illustra il suo processo creativo che, sia pure sotto il titolo qualificato di «Spigolatrice di Sapri», documenta non un momento storico ma l’immagine della donna, vista nei suoi attributi tradizionali.

Perché, e concludo, non vi è femminismo che possa cancellare l’eros proprio di un corpo di donna e quindi l’immagine può essere proposta come tale e non come (improbabile) documento di una rivolta di popolo, che in realtà non vi è mai stata! In sostanza, la vicenda è solamente politica, non storico artistica e va confinata nei limiti delle diatribe locali.

© Riproduzione riservata La «Spigolatrice di Sapri» dell’artista lucano Emanuele Stifano
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