L’effetto Biennale

Quest’anno a Venezia sono scomparsi dalle didascalie i nomi delle gallerie. Una foglia di fico che non ha impedito l’effetto volano sugli appetiti di mercanti e collezionisti e sulle quotazioni, dalla veterana Cecilia Vicuña all’emergente canadese Tau Lewis

«Pisser Triptych» (2021-22) di Louise Bonnet. Foto Roberto Marossi. Cortesia di La Biennale di Venezia
Elisa Carollo |  | Venezia

Fino al 1968 la Biennale di Venezia aveva un ufficio apposito per le vendite. Quest’anno, al contrario, si è addirittura deciso di rimuovere i nomi delle gallerie dalle didascalie. Il che, ovviamente, non ha impedito a Gagosian di vendere l’opera monumentale di Louise Bonnet agli American Friends of the Moderna Museet di Stoccolma a poche ore dall’apertura della mostra.

Tra gli artisti presenti all’edizione del 2019 si può constatare che Carol Bove, Arthur Jafa, Nairy Baghramian, Neïl Beloufa, Michael Armitage, Alex Da Corte, Njideka Akunyili Crosby, Zanele Muholi, Rosemarie Trockel, Kaari Upson, Andra Ursuţa (queste ultime tre presenti a Venezia anche quest’anno) stanno ottenendo popolarità, prezzi crescenti e progetti istituzionali.

Emblematico il caso di Nicole Eisenman: a pochi mesi dalla sua inclusione nelle biennali del Whitney e di Venezia del 2019, Hauser & Wirth ha voluto rappresentarla a livello internazionale e lo scorso maggio le ha dedicato un’ampia personale a New York. I prezzi in questi due anni sono saliti, con record d’asta di 1.183.300 dollari.

Vi è poi l’ascesa di Avery Singer, artista millennial fra le più quotate, entrata nel roster H&W e con record d’asta di 4.144.000 dollari. Simile il discorso per Sarah Hughes la cui ascesa è iniziata con la Whitney Biennal del 2017: recente il suo record battuto da Christie’s per 2,9 milioni di dollari. Allison Katz, entrata nella scuderia di Luhring Augustine, Latifa Echakhch, di Pace Gallery, e Marguerite Humeau, di White Cube, sono solo alcuni tra gli artisti inclusi in questa Biennale di Venezia ad aver fatto un salto di categoria nei mesi antecendenti l’inaugurazione.
L'installazione di Nicole Eisenman alla Biennale del Whitney del 2019
Le stesse dinamiche si legano alla Whitney Biennial 2022: la Lisson Gallery, per esempio, ha iniziato a rappresentare la giovane Lucy Raven, mentre Kavi Gupta Gallery dedica un’ampia personale a James Little. I lavori che gli artisti realizzano per le biennali sono in genere molto più ambiziosi rispetto alla produzione consueta, diventando per le istituzioni un’occasione per valutare acquisizioni e grandi mostre.

Cecilia Vicuña, Leone d’Oro alla carriera 2022, dopo la personale appena inaugurata al Guggenheim di New York avrà l’intera Turbine Hall della Tate Modern di Londra e sebbene solo due anni fa fosse semisconosciuta a livello internazionale, dalla prima retrospettiva dedicatale dal Museo Universitario Arte Contemporáneo-Muac di Città del Messico nel 2020 ha raddoppiato le quotazioni.

Le biennali, ovviamente, influenzano anche le vendite di fiere e aste. Vari i nomi «veneziani» a Frieze New York: Latifa Echakhch da Pace; Kapwani Kiwanga da Marian Goodman; Marguerite Humeau da Clearing. Ad Art Basel troveremo invece Mire Lee da Tina Kim, Małgorzata Mirga-Tas da Foksal Gallery Foundation e Hannah Levy da Casey Kaplan.

Anche la giovane canadese Tau Lewis (1993) ha intrapreso una rapida traiettoria di crescita accelerata da questa Biennale di Venezia: rappresentata dalla Night Gallery all’ultima edizione di Frieze di Los Angeles (con prezzi da 20mila a 25mila dollari) e già in collezioni importanti in Europa e in America, nel 2023 avrà mostre personali alla Haus der Kunst a Monaco, alla Fondation Vuitton di Parigi e alla Hayward Gallery di Londra, oltre a partecipare a una collettiva nel nuovo 52 Walker di David Zwirner a New York in programma quest’autunno.

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