L’economia bloccata e le restrizioni dei talebani mettono alla prova gli artisti afghani
Gli artisti di tutto il paese continuano a lavorare sotto il regime islamico, nell’incertezza di quali siano i soggetti artistici approvati

A differenza di innumerevoli gallerie d’arte che hanno chiuso da quando i Talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan nell’agosto 2021, la Negar Khanah Behzad (Galleria d’arte di Behzad) nella provincia occidentale di Herat è sempre rimasta aperta. Le attività della galleria mettono in luce le sfide che gli artisti stanno affrontando per vivere e lavorare sotto il nuovo regime.
La galleria, che è anche un polo d’arte, è gestita da Mohammad Ebrahim Habibi dal 2009, dopo essere stata restaurata dall’Aga Khan Trust for Culture (AKTC) e consegnata al Ministero dell’Informazione e della Cultura. Prende il nome dall’acclamato miniaturista di Herat Kamal Ud-Din Behzad (XV-XVI secolo) e si trova nella Cisterna Malek (XIII-XIV secolo), di fronte alla famosa Cittadella Ikhtyaruddin.
Le pareti della cisterna sono tappezzate dalle opere di Habibi e dei suoi studenti, che raffigurano per lo più paesaggi afghani, calligrafie, siti storici insieme a qualche dipinto di bazar con figure umane. Dopo il cambio di governo, Habibi ha rimosso la maggior parte dei dipinti che mostravano volti: «Ci sono persone che ritengono che le immagini di persone non debbano essere esposte. Non volevo correre il rischio di vedere i dipinti distrutti», dice sporgendosi da dietro la sua tela.
Habibi cammina intorno alla cisterna e sorveglia la sua quindicina di studenti, che oggi sono tutte donne. Divide la sua settimana di sei giorni equamente tra uomini e donne, ma ha visto un aumento del numero di studentesse, condizione che attribuisce alla mancanza di opportunità per loro altrove.
Bahar, una diciassettenne che sperava di studiare arte all’università, non ha potuto terminare l’ultimo anno di istruzione a causa del nuovo divieto per le ragazze di frequentare le scuole a partire dal sesto anno (13 anni). «Voglio seguire la mia passione e questo è uno degli unici posti rispettabili e aperti che io possa frequentare», dice. Masumeh, che frequenta corsi di calligrafia, è stata insegnante per sei anni e ha perso il lavoro quando la richiesta femminile si è ridotta. «Non voglio stare a casa, voglio lavorare», dice.
Aydeh frequenta i corsi d’arte da due settimane. Madre di cinque figli, incinta, vive in una famiglia di nove persone; per mantenerla crea ricami che richiedono sei mesi di lavoro, per un guadagno di 1.500 afghani (circa 17 dollari). Habibi ha fatto pagare le lezioni ad Aydeh solo 300 afghani invece di 500, per incoraggiarla a continuare, ma lei dice che è ancora troppo, visti i suoi impegni familiari: «Faccio un’ora di viaggio per venire qui. Vorrei guadagnarmi da vivere con l’arte da casa, ma non credo di potermelo permettere», dice Aydeh.
Habibi è uno degli artisti più riconosciuti di Herat e i suoi corsi di arte, scrittura a mano e calligrafia erano tra i più rispettati e richiesti della città. Tuttavia, con il cambio di governo, Habibi ha temuto per il suo futuro e per quello della sua scuola.
I corsi d’arte sono un lusso
Sconcertato, il 55enne ha incontrato il nuovo direttore del Ministero dell’Informazione e della Cultura di Herat, Naeem-ul-Haq Haqqani, per cercare di fare chiarezza. L’incontro è stato positivo. Non ha ricevuto alcun veto per la raffigurazione di esseri viventi e Haqqani non si è opposto ai suoi corsi per le donne, a condizione che fossero segregate. Infatti, Habibi ha sempre tenuto le lezioni in giorni separati per uomini e donne per uniforarsi al conservatorismo della società afghana.
Tuttavia, con l’economia del Paese devastata dalle pesanti sanzioni, le lezioni d’arte sono diventate un lusso che la maggior parte degli studenti di Habibi non può più permettersi. Imperterrito, a molti insegna a prezzi scontati mettendosi spesso in condizioni difficili, poiché deve mantenere anche la propria famiglia. Habibi Spera di poter organizzare tra qualche mese una mostra annuale per i suoi studenti e consolidare ulteriormente il loro interesse per l’arte, ma prima deve trovare i fondi. Sebbene insegni anatomia umana ai suoi alunni e si possano vedere molti di loro esercitarsi a disegnare o dipingere volti, l’insegnante afferma che non esporrà ritratti nella galleria.
A più di 800 km di distanza, a Kabul, un altro artista, Jawad Paya, sta cercando di guadagnarsi da vivere navigando tra le incertezze della scena artistica del Paese. Per quanto non siano state annunciate restrizioni ufficiali legate alle arti visive, la maggior parte degli artisti evita di inserire persone nelle proprie opere, poiché ritiene che tra i talebani vi sia chi le consideri una componente «non islamica». In città, la maggior parte dei ritratti è stata rimossa dalla vista pubblica. Tuttavia, sono ancora presenti occasionalmente giganteschi manifesti con modelli maschili o tappeti raffiguranti figure femminili.
Paya continua a esporre figure nella sua galleria e finora non ha avuto problemi, ma dice che tutto potrebbe cambiare. Da quattro mesi si è trasferito in una nuova galleria situata nel seminterrato di un edificio a due piani nel quartiere Karte Char di Kabul. Dopo cinque anni di attività è stato costretto a chiudere la sua galleria, il Paya’s Art and Cultural Centre, a causa di problemi finanziari che non gli hanno permesso di pagare l’affitto, situazione comune in Afghanistan.
Nella nuova sede, invece, pur non prevedendo affitto, ha un accordo per cui perderà il 60% dei proventi dei suoi corsi d’arte, mentre lui potrà tenere il 100% delle vendite delle sue opere d’arte. Attualmente ha otto studenti, cinque donne e tre uomini, a cui fa pagare 500 afghani al mese invece dei canonici 700-1.000 di un tempo. Ma ha difficoltà sia a trovare nuovi studenti che a vendere le sue opere.
«Due ragioni determinano la difficoltà a vendere le opere d’arte. In primo luogo, la difficile situazione economica e poi la mancanza di stranieri, dice Paya. Un tempo gli stranieri, soprattutto coloro che lavoravano nelle ambasciate, acquistavano in grande quantità, ma ora sono tutti spariti. Gli afghani acquistano soprattutto ritratti, ma in questo momento o non possono permetterseli o li evitano per paura di avere ripercussioni».
Paya era un giovane artista molto noto nella capitale, apparso in innumerevoli programmi televisivi e mostre. Ha studiato arte all’Università di Kabul, nonostante le forti obiezioni della sua famiglia. All’età di 25 anni, la morte prematura del padre lo ha messo a capo dell’intera famiglia, che comprende la madre, i due fratelli minori, che deve mantenere all’università, la moglie e il figlio.
Dopo la chiusura della sua galleria e la perdita dei mezzi di sostentamento, Paya ha sofferto di depressione per mesi. Infine, insieme a un gruppo di artisti, si è rivolto al Ministero dell’Informazione e della Cultura per ottenere chiarezza. Non hanno ricevuto alcuna restrizione esplicita e hanno ottenuto il via libera per continuare a lavorare. Con il permesso del Ministero hanno persino indetto un concorso per artisti in cui una donna ha vinto il primo premio, aggiudicandosi 8.000 afghani, raccolti dal gruppo stesso.
Tuttavia, se prima guadagnava tra i 50 e i 70 mila afghani (500-700 sterline) al mese, un degno stipendio a Kabul, e ora ne guadagna tra i 10 e i 12mila (100-120 sterline), la maggior parte dei quali provengono dall’insegnamento serale presso un istituto d’arte governativo. Tuttavia, a causa dell’inflazione che ha fatto salire i prezzi alle stelle, il suo reddito non è sufficiente a mantenere la famiglia o il suo materiale artistico.
Paya ritiene che per aiutare gli artisti a sopravvivere nel clima attuale, una soluzione potrebbe essere la combinazione tra sostegno finanziario dei corsi d’arte e attività commerciali online che possano aiutare gli artisti a vendere le loro opere, comprese le onerose spese di spedizione.
«La disponibilità di fondi per l’insegnamento dell’arte non solo permetterebbe agli artisti disoccupati di continuare a lavorare nel loro campo, ma anche alle persone di studiare arte gratuitamente, afferma Paya che, per ora, non è ottimista sul futuro. Avevo molte speranze e sogni, ma ora non più. Mi concentro sui miei dipinti, ma anche questo può essere costoso».