L'asta del Casino Aurora è un film sinistramente comico

Alcuni si aspettano che lo Stato acquisti uno dei più celebri edifici del Seicento a Roma, altri vorrebbero che i soldi del Pnrr fossero destinati a problemi più urgenti come le assunzioni nelle istituzioni culturali

Il Casino dell’Aurora Boncompagni Ludovisi
Alessandro Morandotti |

La vendita di Villa Ludovisi, e dell’annesso Casino dell’Aurora, è un caso montato con molta abilità dai venditori, in un momento di euforia del mercato immobiliare. È certo un luogo unico, ma non si possono valutare degli affreschi (di Guercino e Agostino Tassi) e delle pitture murali (di Caravaggio) come se fossero opere d’arte mobili: quelle opere indimenticabili hanno un immenso valore storico artistico ma nessun valore autonomo rispetto alle murature degli edifici che li sostengono. Ha scritto già parole molto circostanziate e condivisibili Tomaso Montanari, additando come temerario il docente universitario che si è prestato con la sua autorità a valutare quelle pitture inamovibili centinaia di milioni di euro.

Più che al ricordo dell’episodio di «Totòtruffa» (1961), con l’impertinente «mediatore» che cerca di vendere la Fontana di Trevi all’ingenuo turista americano, qui forse bisogna ricorrere a un altro classico della comicità; mi pare infatti che questa valutazione per le opere aderenti ai soffitti di Villa Ludovisi sia un poco legata al tentativo di Louis De Funès di «staccare» la pelle tatuata con un raro Modigliani dalla schiena di Jean Gabin («Le Tatoué», 1968).

Non si può però molto scherzare perché va in vendita uno degli edifici più celebri del Seicento a Roma e diverse riflessioni sono inevitabili. È un bene tutelato e anche se passasse di mano ancora nel mondo privato ci sono obblighi di legge che vincoleranno i nuovi proprietari a conservarlo e a renderlo visibile al pubblico a richiesta.

La vendita all’asta, al rialzo, avverrà il 19 gennaio ma mi pare che lo Stato non debba partecipare a una gara «drogata»: e i comitati, che si augurano che vengano investiti i soldi del Pnrr per questo acquisto, dimenticano che quei soldi sono vincolati ad azioni temporanee e a termine, per alimentare la digitalizzazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale.

Se però davvero quei fondi europei potessero essere spesi per azioni permanenti, preferirei che fossero destinati alle assunzioni di nuovi conservatori di musei, funzionari di Soprintendenza, bibliotecari, ormai ridotti a un manipolo di valorosi e isolati uomini al servizio del patrimonio artistico della nazione. Questo è il compito dello Stato: arruolare il personale specializzato disperatamente deficitario, non partecipare a una gara che sa molto di un sequel di un film sinistramente comico.

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