L’arte ungherese di evadere

Una generazione di artisti che adottò gli strumenti dell’arte concettuale «per eludere il potere e lasciarlo interdetto»

L’autoritratto del 1973 di Sándor Pinczehelyi incorniciato da una falce e un martello (particolare)
Guglielmo Gigliotti |  | Roma

Dal 4 ottobre al 6 gennaio il Palazzo delle Esposizioni ospita una mostra sulle modalità di essere artisti liberi sotto un regime illiberale: «Tecniche d’evasione. Strategie sovversive e derisione del potere nell’avanguardia ungherese degli anni ’60 e ’70» è una mostra su una generazione di artisti che adottò gli strumenti dell’arte concettuale (testi, oggetti, foto, performance) «per sfuggire ai controlli, per stordire la censura, per eludere il potere, deriderlo sotto i suoi occhi e lasciarlo interdetto», secondo le parole dei curatori. Questi sono Giuseppe Garrera, József Készman, Viktória Popovics e Sebastiano Triulzi.

Hanno messo insieme una serie di opere e documenti (disegni, sculture, fotografie, cartoline, dattiloscritti, manifesti, libri) delle collezioni del Ludwig Museum di Budapest.

In mostra le opere di Endre Tót, Bálint Szombathy, András Baranyay, Tibor Csiky, Katalin
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