L’archivio dei truciolati sopravvissuti

Alla T293 le personali di Tendai Mupita e James Beckett, artisti dello Zimbabwe

Una delle opere di Tendai Mupita in mostra
Francesca Romana Morelli |  | ROMA

Alla T293, fino al 31 luglio, doppia personale di due artisti dello Zimbabwe, Tendai Mupita (1990) e James Beckett (1977), mentre continuano le iniziative online varate durante il lockdown. Cresciuto in Sudafrica, Beckett nel 2000 si sposta in Europa e ora vive e insegna ad Amsterdam. Nella sua ricerca convergono temi di scienza, storia e critica sociale, che portano alla luce storie tra utopie sociali e brame economiche, come la vicenda di Max Himmelheber, che ispira l’installazione ambientale della sua quinta personale alla T293, dal titolo «The Sceptical Structures of Max». Pilota della Luftwaffe, Himmelheber inventa il truciolato ottenuto con gli scarti della lavorazione del legno, grazie a cui diviene ricco.

Quel materiale sembra combinare le esigenze ecologiche del pianeta con la produzione di mobilia a basso costo, invece nel tempo è causa di un disastro nell’ambiente, assediato dai rifiuti di quei manufatti «cheap». L’installazione di Beckett ordina con una cinica mentalità da museo, tra le altre cose, una raccolta di lastre sperimentali di truciolato dall’archivio Himmelheber, pezzi di manufatti di truciolato sopravvissuti al loro impiego nella vita quotidiana (cucine, librerie, armadi, letti e via dicendo), oramai reperti di una cultura consumistica, che difende con sicurezza laica gli oggetti comuni, indice di un benessere diffuso.

Invece Mupita vive ancora nello Zimbabwe ed è alla prima personale in Europa. Nutre la sua produzione delle pratiche spirituali soprattutto della sua cultura nativa Shona, e dell’uso dei frattali, convinto che la matematica e la cultura colleghino gli antichi rituali con nuovi algoritmi culturali. Presenta un nucleo recente di grandi disegni e una videoinstallazione. Nel corso di passeggiate in campagna osserva dal paesaggio agli animali fino agli abiti colorati della gente, che poi riversa nelle opere dalle campiture accese e composte da innumerevoli cerchietti.

Ogni cerchietto, spiega l’artista, contiene un universo che può condurre il fruitore in una dimensione contemplativa alla conoscenza di sé, fino a varcare la soglia del mondo senza gerarchie tra elementi naturali e creature ibride racchiuso nei suoi lavori. Infine online proseguono gli Studio View: una piattaforma in cui sono esposti artisti della galleria, da Joshua Miller a Los Angeles a Cuoghi Corsello a Bologna, video nei loro studi e dei loro processi creativi, le opere, testi di interviste. Con cadenza settimanale su Instagram si tengono invece delle live chat con gli artisti collegati dai loro studi.

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