L’apartheid non finisce mai

Al macLyon una personale di Mary Sibande, esploratrice dell’identità del Sudafrica, e tre installazioni: una di Thameur Mejri, una di David Posth-Kohler e un’altra di Kimsooja

Kimsooja, «A Laundry Woman», 2000. © Adagp, Paris, 2021. Foto: Blaise Adilon
Luana De Micco |  | Lione

Il macLyon presenta la sua nuova stagione di mostre dall’11 febbraio al 10 luglio. Aperto alla creazione artistica internazionale, il museo d’arte contemporanea accoglie una personale, «The Red Ventriloquist», di Mary Sibande, figura centrale della scena artistica sudafricana contemporanea (ha partecipato alla Biennale di Venezia nel 2011).

Nata nel 1982, la Sibande esplora da tempo la costruzione dell’identità del Sudafrica, denunciando le condizioni di vita delle donne della sua famiglia (la madre, la nonna e la bisnonna lavoravano come domestiche) e più in generale delle donne nere in un Paese ancora segnato dalla segregazione razziale, anche anni dopo la fine dell’apartheid.

Nei suoi lavori, di cui è spesso protagonista con coloratissime sculture in scala reale, mette in scena la rabbia, la violenza, il sentimento d’ingiustizia nei confronti delle disuguaglianze strutturali del suo Paese. A Lione propone una grande installazione immersiva e sonora.

Il macLyon ospita anche l’artista tunisino Thameur Mejri con «État d’urgence», un’installazione realizzata appositamente che comprende vaste composizioni di teloni tesi o sospesi nell’aria e dipinti monumentali con cui analizza i meccanismi di potere e di controllo del sistema politico in Tunisia.

Nell’ambito della rassegna «Crossover» il macLyon allestisce anche la monumentale installazione «Sténos» di David Posth-Kohler, realizzata per la Biennale di Lione del 2019 e donata al museo. Le immense sculture di giganti disarticolati entrano in dialogo con opere degli anni Sessanta dell’americano Bruce Nauman, attinte dalla collezione del museo, che interrogano a loro volta sul tema del corpo.

Fino al 13 marzo inoltre è presentata «A Laundry Women», un’installazione poetica, di recente restaurata, dell’artista coreana Kimsooja composta da «bojagi», i tradizionali involti di stoffa per copriletto allestiti su dei fili come fossero panni stesi.

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