L'anteprima del Padiglione Italia a Expo Dubai

Davide Rampello: «Espongo un’opera preziosissima: il saper fare»

Davide Rampello
Veronica Rodenigo |  | Dubai

Davide Rampello (classe 1947) è manager culturale, consulente gestionale e curatore, docente universitario e direttore artistico di manifestazioni di livello nazionale e internazionale. Già presidente della Triennale di Milano, nel suo profilo vanta (tra le altre) la direzione artistica del Padiglione Zero a Expo Milano 2015 e del Padiglione Italia a Expo Dubai 2020 (la cui apertura è slittata a ottobre 2021). Alla sua rubrica tv «Paesi e Paesaggi» dedicata alla salvaguardia del patrimonio delle arti e dei mestieri italiani (in onda per Striscia la Notizia) deve l’ispirazione del suo ultimo libro, L’Italia fatta a mano (Skira, Milano 2019). Inizia da qui il nostro dialogo che dal «saper fare» italiano ci proietta verso il concept e le installazioni per Dubai 2020.

Che cos’è per lei la cultura e quali sono i beni culturali viventi, concetti al centro della sua ultima pubblicazione?

L’etimo della parola cultura deriva dal verbo latino colĕre, coltivare. Inoltre, sempre in latino, abitare si dice incolere, che significa insistere in un luogo, insediarvisi, viverci. Il senso profondo del termine diventa così: coltivare non solo la terra bensì l’uomo, la stessa essenza di una comunità. Cultura non è solo quindi da intendersi come l’esercizio delle arti o della scienza: è tutto ciò che l’uomo sogna, crea, progetta. È facile così arrivare a quelli che io definisco i «beni culturali viventi»: donne e uomini che esercitano il loro saper fare. Sono loro stessi dei veri beni culturali, lo è la loro maestria nei vari ambiti, dall’agricoltura a tutte le arti artigianali. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto. Un concetto che abbiamo perduto, ma che era profondamente radicato nell’uomo del mondo latino, nel contesto monastico, in età rinascimentale. Questo concetto mi fa procedere nel mio operare, è un presupposto importantissimo: non prescindo da questa visione.

Qual è a suo avviso il grado di consapevolezza collettivo del valore della cultura intesa come saper fare?

Il concetto di saper fare si era completamente perduto. Oggi si sta recuperando. Avrà notato che da 10 anni a questa parte nel comunicare i prodotti si è sentita l’esigenza di affidarci al cosiddetto storytelling: un’attenzione che è derivata dal mondo anglosassone. Noi abbiamo un termine più profondo ossia «narrazione», racconto consapevole, che va oltre l’esaltazione del prodotto, vuol raccontare anche chi lo fa. Ed ecco che il vero racconto diventa quello dell’uomo in grado di realizzare tutto questo in tutti gli ambiti, dall’agroalimentare alla moda, al design. La coscienza di questo si sta risvegliando. Inoltre negli anni passati il modo di considerare la produzione, soprattutto nell’ambito industriale, era vincolato alla quantità. In contrapposizione c’era il concetto del «piccolo e bello». In realtà la riscoperta dell’artigiano che produce qualità e in numero limitato non è «piccolo è bello» bensì «piccolo è prezioso».

Il prodotto di eccellenza ha difatti un prezzo medio alto. Come risponde il mercato?

Il prodotto di eccellenza ha un prezzo medio alto però ha un mercato molto ampio. È importante che chi ha le risorse investa in queste piccole realtà, perché così facendo riusciamo a mantenerle vive e a immaginare che anche i giovani possano intraprendere determinate strade. Dieci anni fa tutto ciò che era «artigiania» era visto come un qualcosa di vecchio e polveroso, se lei avesse chiesto a un giovane di fare il cuoco le avrebbe riso in faccia. Oggi il tema del cibo è preminente e l’Italia non ha pari per varietà di prodotti e biodiversità. È per questo che osterie, ristoranti, caffè storici, quando c’è consapevolezza di tutto ciò, possono considerarsi vere e proprie agenzie culturali. Purtroppo questo non è ancora chiaro alle istituzioni ed è imperdonabile.

Che cosa significa rappresentare il nostro Paese attraverso un grande progetto espositivo come Expo 2020?

Il tema generale scelto dagli organizzatori di Expo Dubai 2020 è «Connecting Minds, Creating the Future». Nel realizzare il concept design del Padiglione Italia i miei collaboratori e io abbiamo interpretato questo tema con la formula «la bellezza unisce le persone» poiché pensiamo siano i valori a mettere insieme gli individui e non solo le infrastrutture. E il valore più alto espresso nella cultura italiana è la bellezza intesa non come estetica ma come armonia del bello, del vero, del buono e del giusto. Una sintesi etica fortissima. Ecco esplicitato il tema del nostro padiglione «Beauty connects people». Ho poi adottato come metafora il concetto della mediterraneità come terra di mezzo, coesistenza di culture, costantemente rielaborato dalle nostre genti accanto a un’altra metafora, quella del «giardino». Il nostro Paese era chiamato nel mondo antico «Enotria», terra del vino, ma Italia significa anche terra dei vitelli. La penisola era da sempre il luogo dove si coltivava e si allevava e non a caso era detta anche il giardino d’Europa.

Come viene declinato il tema e attraverso quali soluzioni tecnologiche ed espositive?

Il tetto della struttura è formato da tre scafi rovesciati disposti a formare quasi una «N». Il progetto architettonico (firmato da CRA-Carlo Ratti Associati, Italo Rota Building Office, F&M Ingegneria, Matteo Gatto & Associati) rimanda al concetto del viaggio, dell’avventura (ad-ventura, le cose che verranno) così come della conoscenza. Il tutto ovviamente aderisce a parametri di sostenibilità nel quadro dell’economia circolare: una grande sfida per i due architetti. L’area di 3.600 metri quadrati accoglie una grande duna alta circa 5 metri. All’interno di questa duna vi sono spazi di rappresentanza, formazione, ristorazione, incontro. Il percorso narrativo è realizzato sopra la duna (tra questa e il tetto del padiglione) e parte dall’alto. Il primo affaccio del visitatore giunto alla sommità, dopo aver percorso due rampe di scale mobili, è la visione di tutto l’itinerario: un paesaggio caratterizzato da grandi installazioni e da un uso molto articolato del vegetale.

Percorrendo in senso discendente questa passerella skywalk, tangente il perimetro della struttura, s’incontra per primo il «Belvedere»: una costruzione circolare alta 8 metri con un diametro di 12 metri realizzata con pietre a secco. I muri a secco in Italia sono stati dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’Umanità. Sopra questa costruzione cresce una vegetazione spontanea: mirto, rosmarino, felci e capperi. A circondarla è un sistema di vasche disegnate come un giardino rinascimentale; lame d’acqua dove coltiveremo delle alghe, forti divoratrici di CO2. L’interno del Belvedere è scenario totalmente diverso, può apparire come uno studiolo rinascimentale
realizzato con diverse essenze di legno. Tutt’attorno: colonne e capitelli scandiscono esedre e nicchie. Entro ogni esedra, schermi di oltre 3 metri propongono i paesaggi delle regioni italiane: un racconto a firma di un grande regista cinematografico che narra tre paesaggi, i più emozionanti, per ogni regione.

Sul pavimento in legno è intarsiata la rosa dei venti, mentre il soffitto ripropone la copertura del Pantheon, la cui apertura circolare è occupata da uno schermo che racconta i cieli d’Italia attraverso la storia della pittura: dagli affreschi pompeiani a Giotto, Mantegna, Piero della Francesca, Canaletto. Uscendo ecco il «Saper fare italiano» narrato su un grande schermo: immagini di donne e uomini ripresi durante l’esercizio delle loro discipline, delle loro arti e dei loro mestieri. Sul retro, una grandissima bacheca in cristallo custodisce oggetti e prodotti di varia natura, il frutto concreto del saper fare, piccole mostre dalla breve durata. Si entra poi nello «Spazio dell’Innovazione»: un dodecaedro disegnato con una serie di schermi che restituirà la scienza più avanzata in due ambiti fondamentali: quello delle acque e dell’aria. Il Cnr coordinerà le immagini che testimoniano la ricerca delle nostre Università e delle nostre industrie più importanti. Una volta superato questo luogo il visitatore si ritroverà in un orto giardino di 200 metri quadrati in cui verranno coltivati cereali, agrumi, piante officinali, vigne. L’orto giardino circonda infine l’installazione per me fondamentale (disegnata su mio concept da Alessandro Camera così come il Belvedere). È il «Teatro della Memoria», tutto percorso esternamente da scale ascendenti e discendenti che ricordano la complessità di Escher.


Perché un Teatro della Memoria?

Perché la memoria è la cosa più importante per l’uomo, figlia di Urano e Gea, di Cielo e Terra; amata da Zeus partorirà nove muse. È evidente che senza memoria non esistono né scienza né arte. All’interno di questo spazio decorato da mosaici d’oro sarà collocato il gemello digitale del David. Lasciato il «Teatro della Memoria» saremo accolti da un paesaggio del silenzio e da un paesaggio olfattivo. L’ultima installazione, infine, è di particolare impatto: quella delle Ferrovie dello Stato con uno schermo alto quasi 5 metri e lungo 26 metri. Vi scorreranno in scala reale 1:1 i Frecciarossa e le nuove generazioni dei treni regionali.

L’arte contemporanea sembra però assente. Gli artisti contemporanei a suo avviso non rappresentano il «saper fare» nostrano?

Il Padiglione italiano è ideato, progettato, realizzato da storici, architetti, designer, scenografi, artigiani, «artisti», ingegneri, scienziati, studiosi, ricercatori, filosofi. Di fatto è un «progetto-racconto» che vuole narrare l’Italia oggi, in una sintesi di memoria e contemporaneità. L’«arte» nella contemporaneità, oggi più che mai, si esprime, a mio avviso in molte e diversificate discipline, senza necessariamente essere rappresentata dalla «categoria» degli artisti.

Volendo fare un confronto con il Padiglione Italia dell’Expo di Milano del 2015, che cosa ha tratto dall’esperienza milanese? La pandemia ha costretto a rivedere anche scelte curatoriali?
Non possiamo fare un paragone. Allora eravamo il Paese che ospitava l’Expo, perciò l’immagine dell’Italia era rappresentata non solo dal suo Padiglione, ma da come avevamo pensato, organizzato, realizzato l’Expo in generale. Il Padiglione Zero da me curato diventò di fatto quello più visitato. Era un’idea italiana, che andava a perfezionare l’immagine che l’Italia aveva voluto darsi. A Dubai saranno trattati grandi temi e problemi del pianeta, pandemia a parte. Pertanto abbiamo solo rivisto e perfezionato alcuni momenti narrativi.

Quali sono le aspettative negli Emirati Arabi in merito alla nostra partecipazione?

Il nostro commissario, Paolo Glisenti, ci tiene costantemente informati. C’è una grande aspettativa soprattutto per il Padiglione italiano. La stessa iniziativa del David dal punto di vista scientifico è altissima: un rilievo con tecnologia laser scan era stato fatto negli anni ’90 in collaborazione con l’Università di Stanford e da allora non si è più eseguita una simile indagine. Oggi Mibact, Università di Firenze e Gallerie dell’Accademia hanno realizzato una scansione con una tecnologia avanzatissima (il primo strumento è un Leica Absolute Tracker in grado di rilevare fino a 156mila punti al secondo abbinato a uno scanner laser Leica Absolute Scanner. Il secondo strumento è un sensore a luce strutturata Aicon StereoScan Neo, Ndr). L’originale digitale sarà un unicum, ma il lascito di tutto questo sarà proprio la scansione come strumento di studio per gli specialisti.

© Riproduzione riservata Render della cupola del «Belvedere» nel Padiglione Italia all'Expo Dubai 2020 Render del Padiglione Italia all'Expo Dubai 2020
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