L’anima malinconica di Istanbul

Il leggendario fotografo turco Ara Güler al Museo di Roma

Chiara Coronelli |  | ROMA

«A Istanbul, scrive Orhan Pamuk, mi è sempre piaciuto di più l’inverno che l’estate: ancora oggi rimango a osservare i pomeriggi che arrivano presto, gli alberi senza foglie che tremano al vento, gli uomini con giacche e cappotti neri, sulle strade semibuie, che tornano a casa in fretta, nelle giornate di fine autunno o inizio inverno». Sono parole che sembrano uscire dall’opera di Ara Güler (Istanbul, 1928-2018), pluripremiato fotografo turco di origini armene che con lo scrittore condividerà una lunga amicizia.

Chiamato «l’occhio di Istanbul» anche se il suo obiettivo è andato ben oltre i confini della Turchia per un archivio di oltre 2 milioni di scatti, Güler resta una figura leggendaria per aver raccontato lungo mezzo secolo l’anima malinconica della sua città. Dopo Londra, Parigi, Kyoto e New York la mostra «Ara Güler» approda fino al 20 settembre al Museo di Roma in Trastevere, che ospita la tappa italiana (promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali e Presidenza della Repubblica di Turchia).

Il percorso conta 45 vedute di Istanbul in bianco e nero che risalgono agli anni ’50 e ’60, periodo durante il quale entra in Magnum Photos reclutato da Henri Cartier-Bresson e Marc Riboud e diventa corrispondente per testate come «Time Life», «Paris Match» «The Sunday Times» e «Stern». Nelle prime ore del mattino e verso sera va a fotografare i riflessi sulle acque del Corno d’Oro e le rive del Bosforo, i passanti nei vicoli bui, le barche dei pescatori circondate dai gabbiani, gli avventori fuori dai caffè del distretto di Beyoglu, le moschee avvolte dai fumi che si intravedono dal ponte di Galata.

La fatica quotidiana si mescola alla monumentalità bizantina e ottomana, mentre una fitta presenza umana, sempre centrale per Güler, continua a muoversi sullo sfondo di un’antica magnificenza che è anche nostalgia del passato (nella foto, «Karaköy», 1956). La rassegna si conclude con 37 ritratti scattati da Güler a personaggi della cultura, da Antonio Tabucchi a Federico Fellini, da Winston Churchill a Bernardo Bertolucci.

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