L’amore per l’Italia di Peiffer Watenphul

Una mostra ricorda, con dipinti e fotografie di Venezia e di Roma, l’artista tedesco che alle luci della ribalta dell’avanguardia modernista preferì rimanere nell’ombra

Particolare di «Veduta del Campidoglio» (1932) di Max Peiffer Watenphul
Guglielmo Gigliotti |  | Roma

Nel Museo Casa di Goethe la mostra «Max Peiffer Watenphul. Dal Bauhaus all’Italia», aperta dal 28 settembre al 10 marzo 2024, approfondisce arte e destino di un artista che, rispetto alle luci della ribalta dell’avanguardia modernista, scelse l’ombra. Allievo di Itten, Klee e Schlemmer nelle classi della Bauhaus di Weimar nei primi anni ’20, strinse amicizia con Otto Dix e Alexej von Jawlensky, con scambi di opere.

Di quest’ultimi sono in mostra due lavori dalla collezione della nipote di Peiffer Watenphul, da cui provengono le restanti sue opere: 32 dipinti e 13 fotografie. I dipinti sono tutte vedute di Roma e Venezia dagli anni ’30 ai ’70, secondo canoni di una figurazione essenziale e semi infantile. Le fotografie, quasi tutte dei primi anni ’30, hanno a soggetto perlopiù Roma e risentono della grande scuola fotografica del Bauhaus, caratterizzata da contrasti d’effetto tra luci e ombre.

Perché sempre l’Italia? Perché Peiffer Watenphul appartiene alla genia dei tedeschi folgorati dal Belpaese, e soprattutto da Roma: qui trascorse, nel 1931-32 una residenza nell’Accademia tedesca di Villa Massimo, e vi tornò nel 1945 per non lasciarla più fino alla morte, avvenuta, 80enne, nel 1976, quando venne tumulato al Cimitero Acattolico di Roma, presso la Piramide Cestia. Intensi anche i ritratti degli anni ’30 di donne copiosamente truccate. In molte di queste opere, Gregor H. Lersch, direttore del Museo Casa di Goethe e curatore della mostra, percepisce la «nostalgia tedesca per l’Italia».

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