L'altro Mauri

Da Viasaterna uno sguardo sui dipinti e i disegni su carta dell'artista romano, una parte pressoché inedita della sua produzione per quanto fondamentale ai fini del suo processo creativo

Una carta del 1983 dalla serie «Apocalisse» di Fabio Mauri. Courtesy Viasaterna, Hauser and Wirth e Studio Fabio Mauri Una carta del 1983 dalla serie «Apocalisse» di Fabio Mauri. Courtesy Viasaterna, Hauser and Wirth e Studio Fabio Mauri
Francesca Interlenghi |  | Milano

È un altro Mauri, più intimo e nascosto, quasi segreto, quello che la galleria VIASATERNA ospita fino al 1 aprile 2022 nel suo spazio milanese. La mostra, dal titolo «FABIO MAURI. Opere dall’Apocalisse» raccoglie per la prima volta una collezione di dipinti e disegni su carta provenienti dallo Studio Fabio Mauri: la serie pressoché inedita dell’Apocalisse, prodotta negli anni Ottanta, quella degli Scorticati e alcuni Dramophone, in cui l’immagine del disco come «mondo già inciso» richiama il tema della predestinazione.

Il progetto espositivo, organizzato con la collaborazione di Studio Fabio Mauri e Hauser & Wirth, è curato da Francesca Alfano Miglietti che già nel 2012, a Palazzo Reale di Milano, in occasione della personale «Fabio Mauri. The End», aveva presentato per la prima volta, unitamente a installazioni, oggetti e performance, anche i disegni dell’artista che ha fatto dell’ideologia un materiale dell’arte.

Drammaturgo, fondatore di due riviste critiche, esponente di indiscusso rilievo delle neo-avanguardie della seconda metà del Novecento, Fabio Mauri (1926-2009) ha sempre intrecciato Storia e destino individuale nella sua poetica. La guerra, il fascismo, la conversione, l’insidiosa logica dell’ideologia e del totalitarismo sono i temi portanti di un’indagine che ha preso a prestito oggetti e immagini dalla storia personale e collettiva, e li ha ricollocati nel contesto dell’arte tributandogli nuove significazioni.

Scriveva, scriveva sempre Mauri, e quando scriveva intramezzava alle parole disegni di piccole dimensioni come fossero appunti di opere o installazioni. Una coniucto tra testo e segno, e la respirazione tra i due, quale sostanza di un approccio che si potrebbe dire fisiologico e che serviva a comporre la pagina. Eppure qualcosa che custodiva per sé, come dialoghi dall’interiorità che riemergono oggi con questo progetto espositivo il cui grande pregio è quello di saper frugare nella fisionomia interna del lavoro dell’artista.

«Il suo impiego era prevalentemente nella scrittura» ricorda Ivan Barlafante, dello Studio Fabio Mauri. «Noi assistenti stavamo in un’altra stanza, lui impartiva le direttive e poi si immergeva di nuovo nella scrittura. Quando interveniva nell’opera pareva lo facesse con una sorta di fastidio, anche in modo apparentemente maldestro, con la sigaretta tra le dita, avvolto in una nuvola di fumo. E se la cenere cadeva sull’opera non aveva la premura di spostarla, ci andava sopra con il dito continuando il suo lavoro di pittura. Lo stesso con le gocce di caffè, quando macchiavano il foglio. Fa pittura, diceva. Per lui, che aveva fatto dell’elemento storico la sua materia, l’accadimento, l’incidente, era rilevante nel suo farsi storico. Nel disegno, a differenza che nell’opera dove la mano pareva inferma e si muoveva senza alcun intento lezioso, era invece estremamente deciso. Il gesto, molto ampio, era eseguito con precisione.»

Il tema dell’Apocalisse è qui trattato nel suo significato primo di rivelazione: significa disvelare, mostrare senza l’intermediazione di veli ciò che si annida tra le pieghe dell’esistenza. L’Apocalisse non come fine ma come incontro. Non colta nella sua deriva nichilista ma piuttosto come apertura a un tempo che è infinito. «Nelle intenzioni il tema è quello del tempo» ci tiene a precisare Barlafante. «Era un religioso Mauri, cattolico giansenista si definiva, per cui la distinzione del bene e del male passava attraverso un’ etica che si rifaceva necessariamente al pensiero cristiano.»

Il suo disegno mette a disposizione, generosamente e sorprendentemente, una concezione di spazio e di tempo, di vita e di pensiero, che si intreccia alla persona in maniera inedita. Collega la traccia visibile alla cosa invisibile, come un ponte di fortuna gettato sul reale. E genera uno sguardo nuovo, una sorta di spaesamento percettivo, che veicola un rapporto diverso con l’arte di questo poliedrico autore, facendoci scoprire un’ulteriore via per raggiungere la conoscenza del significato profondo del suo lavoro.

Scrive Francesca Alfano Miglietti, in riferimento a Mauri, nel suo libro A perdita d’occhio. Visibilità e invisibilità nell’arte contemporanea: «È necessario saper guardare in modo differente a ciò che si sa già, o si crede di sapere. […] adottare uno sguardo diverso su ciò che si crede di conoscere già perfettamente. Soltanto così, con rispetto e coraggio, si trasforma l’esistente. E, soprattutto, si incomincia a vedere».

© Riproduzione riservata «Senza Titolo» (anni '80) di Fabio Mauri. Courtesy Viasaterna, Hauser and Wirth e Studio Fabio Mauri Una carta del 1980 dalla serie «Apocalisse» di Fabio Mauri. Courtesy Viasaterna, Hauser and Wirth e Studio Fabio Mauri
Altri articoli di Francesca Interlenghi