L’agente segreto 2X al servizio dei re di Spagna e Inghilterra

Il misterioso abate Scaglia e un quadro di Van Dyck nell’Europa del Seicento

«Ritratto di Tommaso Francesco di Savoia Carignano» di Anton Van Dyck (particolare)
Arabella Cifani |

La prima volta che mi recai a Londra rimasi incantata davanti a un dipinto ovale di Anton Van Dyck, gemma delle collezioni d’arte fiamminga della National Gallery di Londra. Il quadro racchiude nella sua iconografia un misterioso intreccio con una sconosciuta, ma intensa e precisa storia personale del committente. Raffigura l’abate Cesare Alessandro Scaglia di Verrua in preghiera davanti a una matronale Vergine (certamente un ritratto), che guarda verso lo spettatore accennando un lieve sorriso.

La Madonna reca in grembo un tenero Bambino Gesù ignudo che benedice l’abate. Nel dipinto vi sono elementi singolari; uno per tutti: l’abate, con confidenza inusitata, appoggia le sue lunghe e fini mani intrecciate direttamente sulla gamba destra della Madonna, alla quale rivolge uno sguardo estatico.

Ma quando mai si era vista una scena del genere? Quando mai un committente mette le mani sulle gambe della Madonna? Nello sfondo, sulla destra dietro la Vergine, una tenda verde; sulla sinistra, dietro l’abate, un cielo solcato da nuvole tempestose; in lontananza uno scorcio di alte montagne in parte coperte da nubi grigie, minacciose: un ricordo forse della terra d’origine di Scaglia e insieme anche un sottile presagio di morte.

Con il misterioso abate Scaglia avevo un appuntamento. A Biella nell’Archivio di Stato, nel Fondo della famiglia Scaglia di Verrua, mentre lavoravo a ricerche storiche, saltò fuori una vecchissima pergamena, stinta e consunta, quasi indecifrabile. Fu decriptata con molta fatica, ma ne valeva la pena. Era il testamento di Cesare Alessandro Scaglia di Verrua: chiave che apriva una delle più straordinarie storie di collezionismo e di arte del Seicento europeo.

Come in una stargate, il documento mi riportò direttamente al 21 maggio 1641, quando morì in Anversa a soli 49 anni l’abate Cesare Alessandro Scaglia di Verrua, personalità raffinata che aveva riempito di sé le cronache politiche e diplomatiche di tutta Europa.

Scaglia fu protagonista della storia diplomatica del primo Seicento, e fu uomo di statura veramente europea. Nato nel 1592, figlio del conte Filiberto Gherardo, ambasciatore di Savoia, viene avviato alla carriera ecclesiastica, ma la sua vocazione è quella diplomatica. Dal 1614 al 1621 è a Roma, ambasciatore del duca di Savoia Carlo Emanuele I e frequenta artisti e letterati. Protetto dal duca viaggia tra l’Italia e la Francia.

Nel giugno del 1624 è ambasciatore a Parigi. Nel 1626 risulta a Londra, nel 1627 è a Bruxelles e poi all’Aia, Utrecht e Delft. Di tendenze filospagnole, viene inviato da Carlo Emanuele I nel 1628 prima in Inghilterra e poi in Spagna, dove rimane fino alla metà del 1629.

Gode di grande fiducia sia da parte spagnola che inglese per la sua abilità; in particolare Filippo IV di Spagna, il fratello Ferdinando, l’infanta Isabella Clara Eugenia lo appoggiano. Fra il 1629 ed il 1637 Scaglia si muove rapidissimo sullo scacchiere europeo e la sua presenza è segnalata nelle principali corti. La base operativa è però Bruxelles, dove incontra spesso il principe Tommaso di Savoia Carignano, al comando delle truppe spagnole in Fiandre.

Tra il 1638 ed il 1639 è prevalentemente in Fiandra, con residenza fissa in Anversa. Alla fine degli anni Trenta si stacca progressivamente dalla politica, pur rimanendo uomo di fiducia delle corti di Londra e di Madrid. Si avvicina alla spiritualità francescana, predispone una sepoltura nel convento dei francescani di Anversa e ordina vi sia costruito un altare per il quale Van Dyck ha già preparato due importanti dipinti. Le numerose testimonianze del tempo disegnano un’immagine di complessa decifrazione, che i suoi ritratti sembrano confermare.

Per un verso, viene descritto, con ammirazione, come uomo di grandi consigli, costumi soavi, dottrina e prudenza, in grado di districarsi nelle cose più ardue, coraggioso sempre, nonostante le sconfitte. Pietro Paolo Rubens, al quale è legato oltre che da interessi artistici, dal comune servizio per la Spagna, gli riconosce uno spirito sottile, sempre all’altezza dei compiti ed una capacità di eloquio affascinante.

Per l’altro, l’agente segreto «2x» (come denominato nei carteggi cifrati dello spionaggio secentesco) viene anche giudicato inquieto, turbolento, ambizioso. Scettico, disincantato, ironico e intelligente, Scaglia non è indifferente al fascino femminile; ama vivere nel lusso, ma insieme è anche uomo religioso.

Spesso malato, soffre di turbe nervose e di ansie, forse anche determinate dalle continue e inquiete attività politiche. Fu amico di letterati, filosofi e pittori come Fulvio Testi, Alessandro Tassoni, Emanuele Tesauro, Cassiano Dal Pozzo; Ferdinando Helle, Anton Van Dyck; Rubens, Velasquez, Jacob Jordaens, François Snyders e Daniel Seghers.

Il testamento ritrovato a Biella elenca almeno una parte della sua pinacoteca e l’elenco dei suoi legati. Il primo legato è per la principessa Enrichetta di Lorena Phalsbourg, alla quale dona, oltre a un quadro di Daniel Seghers, proprio il quadro ovale di Van Dyck descritto in modo inconfondibile.

Fra i quadri ricordati per donazioni vi sono ben tre dipinti di Van Dyck  da inviare a Milano mentre altri tre quadri vanno al convento dei francescani di Anversa: l’immagine del Compianto sul Cristo morto, il ritratto dello stesso Scaglia; un Crocifisso con angeli che raccolgono il sangue di Cristo: i primi due oggi sono al Museo Reale di Anversa. Il documento ha consentito per la prima volta di focalizzare i legami intercorsi fra Van Dyck e Scaglia, tra i suoi più cospicui committenti, poiché gli ordinò almeno sette dipinti.

Se a questi si aggiungono le tre versioni del ritratto dell’abate: della National Gallery di Londra, della Alte Pinakothek di Monaco e un bozzetto in collezione privata, si arriva ad almeno dieci opere realizzate da Van Dyck per l’abate piemontese. In particolare il documento ricostruisce il primo segmento delle vicende della «Vergine Scaglia», i cui seguenti passaggi sul mercato sono soltanto documentati dal 1791 fino alla donazione al museo londinese nel 1937.

È indubbio che la figura della Madonna sia un preciso ritratto e molte sono le ipotesi che sono state fatte per identificarla: da Cristina di Francia a Maria di Barbançon principessa di Arenberg al Marie-Claire de Croÿ duchessa di Havré e alla principessa di Phalsbourg, ma solo i rapporti diretti fra Scaglia e quest’ultima sono documentati.

La principessa Enrichetta di Lorena (1611-60), nipote del duca Enrico II di Lorena, fu sposa di Luigi di Guisa, principe di Phalsbourg. Si oppone strenuamente all'occupazione francese della Lorena, tentando di salvare il trono per il fratello Carlo IV. Evasa romanzescamente nel marzo del 1634 da Nancy, dove Richelieu la teneva prigioniera, raggiunge i Paesi Bassi sotto la protezione della Spagna.

Donna di carattere forte (Richelieu la definì «un demonio»), di grande intelligenza e ardimento, era amante delle arti e delle lettere. La sua residenza di Anversa, dove si stabilisce negli anni Quaranta del Seicento, diventa punto di riferimento per pittori, letterati e intellettuali. La sua vita avventurosa fu complicata da romantiche avventure amorose e da ben cinque matrimoni. Ancora da indagare a fondo il rapporto stretto e particolare che la legò a Scaglia. È lei la donna rappresentata sotto le sembianze della Madonna che il quadro londinese circoscrive con tutti i suoi segreti e i suoi misteri?

© Riproduzione riservata «Ritratto dell'abate Cesare Alessandro Scaglia», 1791 ca, disegno «Ritratto di Cesare Alessandro Scaglia di Verrua» di Anton Van Dyck «Cesare Alessandro Scaglia di Verrua in preghiera davanti alla Vergine», di Anton Van Dyck (particolare)
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