L’affermazione definitiva di Fontana a New York

La mostra al Metropolitan rompe un silenzio troppo lungo (forse poteva «urlare» di più)

Un'immagine dell'allestimento della mostra «Lucio Fontana. On the Threshold» al MET Breuer di New York con l'opera «Spatial Concept, New York 10» del 1962 in primo piano. Foto: MET
Riccardo Deni |

New York. La Madison tra la 75 e la 76 non potrebbe offrire uno spettacolo migliore: l’aria a New York è gelida in questi giorni e il MET Breuer, sede distaccata dello stesso Metropolitan, che ha già accolto, tra le altre, la retrospettiva di Marisa Merz, si staglia con il suo profilo in cemento a vista, le sue bandiere rosse, tra il Carlyle dei Kennedy e il Sant Ambroeus di quella Milano che oggi nel vento della Mela si sente rappresentata enfaticamente.

La mostra «Lucio Fontana. On the Threshold», a circa cinque anni da quella ospitata da Gagosian, nella sua galleria di Chelsea, a pochi blocchi dallo stesso MET Breuer, curata da Germano Celant e organizzata dalla torinese Valentina Castellani, è un appuntamento che qui molti attendono.

La Fondazione Fontana innanzitutto, presente con tutto il suo consiglio di amministrazione, i galleristi che da anni lavorano con le opere dell’artista di nascita
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