Kjartansson s’ispira a Gino Paoli

Un progetto nella Chiesa di San Carlo al Lazzaretto a Milano per la Fondazione Trussardi

«The Sky in a Room» (2018) di Ragnar Kjartansson. Cortesia dell’artista, Luhring Augustine, New York e i8 Gallery, Reykjavik. Foto: Hugo Glendinning
Ada Masoero |  | MILANO

Figlio della pandemia, il progetto 2020 del «museo nomade» promosso dalla Fondazione Nicola Trussardi, guidata da Beatrice Trussardi, trova posto in un luogo fortemente simbolico della città ma poco conosciuto (sebbene si trovi nel quartiere frequentatissimo di Porta Venezia), nella piccola Chiesa di San Carlo al Lazzaretto (San Carlino, per i milanesi), eretta nel 1576 nel cuore del Lazzaretto per volere di Carlo Borromeo, allora arcivescovo di Milano.

E proprio quel Lazzaretto, con la sua piccola chiesa, dapprima aperta su tutti i lati per permettere ai malati di assistere dai loro letti alle funzioni, sarebbe poi stato il protagonista di un capitolo indimenticabile dei Promessi Sposi, nella narrazione dell’ancor più terribile «peste manzoniana» del 1630.

La mostra di Ragnar Kjartansson (Reykiavík, 1976) «The Sky in a Room», curata da Massimiliano Gioni nel diciottesimo anno di attività «itinerante» della Fondazione, ha sostituito il progetto fortemente interattivo «The Collectivity Project», pensato per l’appuntamento primaverile della Fondazione da Olafur Eliasson in Galleria Vittorio Emanuele che, dapprima posposto, è poi stato soppresso, vittima anch’esso del virus.

Al contrario di quello, «The Sky in a Room» è un progetto contemplativo e immateriale, fatto di suoni da fruire in raccoglimento interiore ed è, al tempo stesso, un omaggio all’Italia e alla sua musica, poiché si tratta di un arrangiamento di «Il cielo in una stanza», la canzone del 1960 di Gino Paoli che, spiega Kjartansson, «è l’unica canzone che conosco che rivela una delle caratteristiche fondamentali dell’arte: la capacità di trasformare lo spazio. In un certo senso, è un’opera concettuale. Ma è anche una celebrazione del potere dell’immaginazione, infiammata dall’amore, di trasformare il mondo attorno a noi. È una poesia che racconta di come l’amore e la musica possano espandere anche lo spazio più piccolo, fino ad abbracciare il cielo e gli alberi»: ciò che tutti noi avremmo sognato nei mesi angosciosi e claustrofobici del lockdown.

Artista colto, nutrito del teatro e della letteratura nordica del ’900, cresciuto in una famiglia in cui musica e teatro sono praticati a livello professionale, egli stesso (fino al 2007 quando scelse le arti visive) musicista in alcune band, Kjartansson si serve di media diversi (video, performance, musica, pittura) per dare vita ai suoi progetti spesso malinconici, sempre meditativi.

In San Carlo al Lazzaretto dal 22 settembre al 25 ottobre si alterneranno cantanti professionisti che ogni giorno, per sei ore, canteranno ininterrottamente, «come una ninna nanna infinita», il suo arrangiamento della canzone, concepito inizialmente per Artes Mundi e per il National Museum of Wales di Cardiff, con il supporto del Derek Williams Trust e dell’ArtFund, ma ora ripensato per questo luogo mistico e denso di memorie e di significati simbolici antichi e contemporanei.

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