Jeff Koons nella platea gremita (ma distanziata)

Nel giorno della presentazione alla stampa, un tripudio di luci e di riflessi nella rigida cornice di pietra serena e cotto delle sale di Palazzo Strozzi

Una veduta dell'allestimento della sala 1 con «Sacred Heart» © Jeff Koons. Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio
Laura Lombardi |  | Firenze

Molta attesa in città per la mostra di Jeff Koons che il 30 settembre è stata presentata alla stampa; l'1 ottobre preview e dal 2 l’apertura al pubblico. Jeff, sorridente rilassato e «scintillante» come il titolo della sua antologica «Shine» (fino al 30 gennaio), si lascia attorniare da decine di fotografi e cameramen nella platea gremita (ma col distanziamento di legge) del Teatro Odeon, e ascolta i non pochi interventi di chi ha reso possibile che il progetto della Fondazione Palazzo Strozzi giungesse a compimento; poi prende la parola a sua volta, esprimendo gratitudine a una città che già lo aveva accolto nel 2015, quando espose a Palazzo Vecchio «Pluto and Proserpina» sull’arengario e il« Fauno» della serie «Gazing Ball» nella sala dei Gigli, poco dopo l’elezione di Dario Nardella a sindaco, grazie al sostegno e all'iniziativa di Fabrizio Moretti, segretario generale della Biennale Internazionale dell’Antiquariato.

«Io amo essere in grado di partecipare e di sentire la vita e trarne il meglio, e sono riuscito a farlo tramite l’arte, perché l’arte consente di divenire e mantenere contatto con i nostri predecessori (gli antichi Greci, Verrocchio, Michelangelo, Leonardo, Rubens…), ma anche di accettare sé stessi e di accettare gli altri, rinunciando a giudicare. Le opere in mostra saranno completate dall’attenzione degli spettatori, dalla loro essenza», spiega Koons, esprimendo la sua gioia nel «partecipare a qualcosa che era prima di me, grazie alle connessioni esistenti», frutto di una «memoria biologica».

Joachim Pissarro, cocuratore insieme a Arturo Galansino, nota come la mostra, all’insegna di questi principi, sia proprio una «invitation au voyage» (per dirla con Baudelaire), giocata sul coinvolgimento del pubblico. Questo senso di abbraccio e di condivisione è precisato da Koons, il quale, parlando della sua infanzia con l’interesse per il disegno sviluppato nel negozio di mobili del padre, designer di interni, ricorda la passione per l’arte trasmessagli poi da un insegnante, e di esser stato affascinato, ad esempio, dallo scoprire il significato del gatto sul letto dell’«Olympia» di Manet. «Io conosco i miei limiti ma voglio sempre essere migliore. Faccio spesso l’esempio del cacciatore di lepri che prima le caccia per sé stesso ma poi sente anche la possibilità di condividere con gli altri. I try to be involved. I want to be generous».

Arturo Galansino, direttore di Palazzo Strozzi ma anche cocuratore della mostra, ha espresso la sua emozione nel vedere portato a compimento un progetto di lunga data, interrotto dalla pandemia, e ha ribadito quanto l’arte di Koons sia «aperta, democratica e spirituale» e come le sculture e le installazioni riflettenti accrescano la nostra percezione metafisica del tempo e dello spazio e siano democratiche nel rimuovere l’imbarazzo della media borghesia per i propri gusti estetici, mescolando riferimenti «high and low». In dialogo col ready made duchampiano, Koons crea un mondo di oggetti di desiderio, tipici della società consumistica occidentale, di materiali trasfigurati, e anche di apparenza («Schein» infatti in tedesco significa apparenza e il titolo «Shine» gioca proprio su questo come chiarito nella intervista di Pissarro a Koons, pubblicata nel catalogo edito da Marsilio) e quindi anche un mondo di inganni.

Il percorso espositivo affronta sala per sala questi temi, alternando opere di grandi dimensioni a oggetti di dimensioni più ridotte e a dipinti; sono presenti tutti i capolavori più noti ma anche creazioni giovanili della fine degli anni Settanta. Un tripudio di luci e di riflessi, nella rigida cornice di pietra serena e cotto delle sale di Palazzo Strozzi e i giornalisti presenti alla preview si allontanano e si avvicinano a quelle superfici specchianti, si fanno fotografare accanto a «Popeye», si accostano alle sfere blu (della serie «Gazing Ball») poggiate sulle copie di dipinti di Rubens e Tintoretto, assorbiti nel riflesso dall’opera stessa, oppure al gesso di «Diana», ruotano intorno alle forme rotondeggianti del «Balloon Dog» o della «Seated Ballerina», guardano incuriositi l’ambiguità del «Lobster», il pallone Spalding che galleggia sulla soluzione salina dentro la teca di «One Ball Total Equilibrium Tank», riconoscono subito il «Rabbit», contemplano i fiori, le veneri metalliche, il busto di Luigi XIV, il delfino…

Nel salutare Koons, il sindaco Dario Nardella ha detto di apprezzare artisti che guardino a Firenze «non come a una vetrina ma come a una sfida»: una sfida resa possibile dalla vitalità della Fondazione Palazzo Strozzi presieduta da Giuseppe Morbidelli, il quale, dopo aver citato per l’arte di Koons le teorie dei filosofi John Dewey e Hans-Georg Gadamer, ha ricordato come la Fondazione, finora composta di 40% di finanziamenti pubblici, 40% di privati e 20% di autoproduzione, rischi di vedere quelle percentuali diminuire a causa degli effetti della pandemia.

Nell’attesa di vedere i risultati di questa mostra, la Fondazione ha un bilancio di 7 milioni di euro l’anno, ma i suoi effetti di ricaduta sul territorio ammontano, secondo studi esterni alla istituzione stessa, a 50 milioni di euro: «Non si tratta quindi di erogazioni ma di investimenti sia per le istituzioni che per le imprese», nota Morbidelli. Tra i molti interventi alla conferenza stampa, anche quello di Michele Coppola, che, con Intesa Sanpaolo è il main sponsor dell’operazione Koons: «Gazing Ball. Centaur and Lapith Maiden» è infatti esposto ora nella sede di Milano, in piazza della Scala.

Il primo ottobre, alle 15.30 è previsto un convegno sulla spiritualità in relazione all’opera di Koons, nella sede dell’Odeon contigua a palazzo Strozzi.

Leggi anche l'articolo di Arturo Galansino su Jeff Koons

© Riproduzione riservata Jeff Koons e Arturo Galansino © Jeff Koons, Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio Una veduta dell'allestimento della sala 5 © Jeff Koons. Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio
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