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Lidia Panzeri
Leggi i suoi articoliL’immaginario di Venezia nell’inquieta interpretazione di Giovanni Boldini; le trasparenze luminose dell’isola di Burano in Umberto Maggioli e il silenzio di San Francesco della Vigna malinconicamente visualizzato da Gino Rossi; le fondamenta e le sequenze dei rii, dipinti nel nome di un vedutismo aggiornato di Guglielmo Ciardi e dei figli Emma e Beppe. E ancora le conversazioni in terrazza, alla maniera degli impressionisti, di Alessandro Milesi; il realismo magico di Astolfo de Maria, con veduta sul Canale della Giudecca dalla sua abitazione, la Casa dei Tre Oci, e le oniriche visioni di Gennaro Favai.
Insomma, il meglio della tradizione veneta in un secolo di pittura, cui si aggiunge il prezioso apporto dei macchiaioli Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega e Vincenzo Cabianca, è riunito attraverso circa 120 opere (molte di collezioni private) nella mostra «Bell’Italia. La pittura di paesaggio dai macchiaioli ai neovedutisti veneti 1850-1950», a cura di Stefano Cecchetto e Maurizio Vanni, in corso fino al 25 ottobre al Centro Culturale Bafile di Caorle. Venezia come epicentro con le sue irradiazioni nella Laguna e nella campagna circostante. A confronto la montagna, nella duplice accezione di luogo fisico e di metafora dell’assoluto.
Da segnalare, alla fine del percorso scandito in cinque sezioni, l’omaggio a Luigi (Gigi) De Giudici (1887-1955), uno degli interpreti del movimento di Ca’ Pesaro e interprete poetico del paesaggio di Asiago, che innovò la tradizione della pittura veneta aggiornandola alle istanze secessioniste. La mostra è promossa dal Comune di Caorle, dalla Fondazione Terra e Acqua, dalla Fondazione Santa Cecilia e dal Museo del Paesaggio a Torre di Mosto (Ve).
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