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Ippolito Caffi era sempre ante

Lidia Panzeri

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Al Museo Correr esposte le 157 opere (dipinti, disegni e 23 album) donate dalla vedova

Centocinquant’anni fa Ippolito Caffi moriva a cinquantasette anni nell’affondamento della nave Re d’Italia durante la Battaglia di Lissa, in piena terza guerra d’indipendenza italiana, dove svolgeva il ruolo di reporter ante litteram. Sempre 150 anni fa il Veneto e Venezia (città che il pittore ha maggiormente amato e ritratto e per la cui libertà ha lottato) venivano annessi al Regno d’Italia: il sacrificio di Caffi non era dunque stato inutile. 157, invece, sono le opere donate, nel 1889, dalla vedova Virginia Missana alla città di Venezia: soprattutto dipinti ma anche disegni sciolti e 23 album, un patrimonio confluito nella proprietà del Museo d’Arte Contemporanea di Ca’ Pesaro, ma di fatto quasi mai esposto. 

Da questa serie di concomitanze nasce la grande rassegna «Ippolito Caffi 1809-1866. Tra Venezia e Oriente», allestita al Museo Correr fino all’8 gennaio 2017 e curata da Annalisa Scarpa. Si tratta di un’iniziativa dei Musei Civici, per la direzione di Gabriella Belli, affiancati da Civita Tre Venezie, che ha anche provveduto al restauro delle opere che lo richiedevano, e da Villaggio Globale International.

«Il mio primo incontro con le opere di Caffi lo devo a Guido Perocco, allora direttore di Ca’ Pesaro: erano tutte ammassate una accanto all’altra nei depositi del museo, mentre adesso sono tutte catalogate e ben visibili nei depositi del Vega», dichiara Annalisa Scarpa, che a Caffi ha dedicato gli studi degli ultimi quindici anni, in vista anche della monografia che spera di completare entro l’anno, seguita nel 2017 da quella relativa ai disegni.

Grazie al lascito della vedova, Venezia detiene il corpus più importante delle opere dell’artista; circa una trentina, comprese le vedute della città e un prezioso paesaggio con la neve («La Salute e il Canal Grande con la neve»), sono invece conservate a Belluno, sua città natale, mentre una cinquantina a Roma, tra la Gnam e soprattutto Palazzo Braschi, dove nel 2006 era stata allestita la prima grande retrospettiva «Caffi. Luci del Mediterraneo», in arrivo dal palazzo Crepadona di Belluno. 

Il percorso espositivo, che riunisce tutti i 157 dipinti del lascito, con qualche inserzione di disegni a commento, «cerca di conciliare il criterio geografico relativo ai suoi numerosi viaggi (Turchia, Egitto, Asia Minore e, per rimanere in Europa, Atene, Parigi, Genova, Napoli) con quello cronologico, precisa Annalisa Scarpa. Una particolare attenzione è riservata alla didattica: vogliamo che sia posto in evidenza non solo l’artista, ma anche il patriota, nel contesto storico e sociale dell’epoca».

Nel catalogo Marsilio, invece, si segue uno stretto criterio geografico, con i dipinti presentati a uno a uno con relativa scheda. «Una certa critica considera Ippolito Caffi quale ultimo erede della tradizione vedutista veneziana, di Canaletto in particolare. Ma quale erede! È il primo grande vedutista moderno, precisa la curatrice. I suoi tocchi di pennello veloci e nervosi, il prisma cromatico che immette in un notturno, le mille invenzioni, come in “Neve e nebbia in Canal Grande”, dimostrano che si tratta di un impressionista ante litteram».

Lidia Panzeri, 02 giugno 2016 | © Riproduzione riservata

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