Inutilità e insensatezza della bufera su Pompei

La notizia del Termopolio ha dato il la a una miriade di critiche: la maggior parte hanno un bersaglio politico e sono male o poco argomentate

Il termopolio a Pompei
Cristiano Croci |  | Pompei

La storia è nota. La mattina di S. Stefano l’Italia si risveglia con una notizia: «Riaffiora per intero il Termopolio della Regio V» di Pompei. Nel comunicato, il direttore Osanna è entusiasta e il Ministro Franceschini dichiara Pompei modello di tutela e gestione e l’importanza dei siti archeologici come attrattori turistici.

Quasi istantaneamente, una miriade di critiche compare su tutte le testate specialistiche italiane. Vengono sparati strali un po’ di qua un po’ di là, a volte colpendo il «furbetto» direttore Osanna, a volte il becero giornalismo generalista filogovernativo, a volte la Rai passiva e sottomessa. Tutte però appaiono ben calibrate sul vero e unico obiettivo: Dario Franceschini.

Tra le critiche, solo per citarne alcune, vi è il sensazionalismo delle parole con cui viene riportata la notizia da giornali e telegiornali. Quella del Termopolio non è affatto una «scoperta eccezionale», la conoscenza dello scavo risale al 2019. La notizia arriva poi in concomitanza con la programmazione sulla Rai del documentario «Pompei ultima scoperta», di produzione italo-franco-belga.

La tesi più accreditata dai detrattori è l’inganno premeditato e la combutta fra Pompei, Ministero e Rai (ArtsLife). Ad aggravare l’inganno c’è la non completa «italianità» del documentario, che così diventa «solo una scusa per la Francia» (Il Giornale). La Rai non viene certo risparmiata e «La Verità» invoca a gran voce il «risveglio dalla Commissione parlamentare di Vigilanza». In Parlamento, il Movimento 5 Stelle chiede a Franceschini un chiarimento sulla marginalità del ruolo della Rai nella produzione.

A fermarsi un attimo e riflettere, però, si noterà che nel comunicato e negli articoli dei media generalisti incriminati (Ansa, Repubblica, Corriere del Mezzogiorno) non risulta mai omesso l’inizio dello scavo nel 2019. Si intuirà inoltre, che la Rai non è obbligata a produrre tutti i documentari su Pompei. Infine, posto che il documentario sia stato acquistato con l’obiettivo di essere proposto al maggior numero di persone, apparirà scontato che il lancio del comunicato venga coordinato con la sua programmazione.

Queste critiche sembrano più che altro malriusciti attacchi al Governo. Leciti, per carità. Ma risulta difficile comprendere il motivo di attaccare un ministro a partire da quella che è di fatto una bella notizia.

Ma a fare critiche ideologiche senza buoni argomenti ci si rimette tutti. Ci rimette chi critica, per l’immagine di approssimazione e parzialità che dà attraverso le sue parole; ci rimette l’oggetto della critica, non Franceschini, bensì Pompei, una delle nostre meraviglie nel mondo, che è stata in quei giorni di battage un ring sopra al quale salire per menarsi qualche schiaffo. Ci rimette anche chi si oppone a questa vuota retorica.

I risultati delle efferatezze di S. Stefano? La notizia del Termopolio è rimbalzata sulle testate giornalistiche di mezzo mondo; quasi tre milioni di spettatori hanno visto il documentario il 27 dicembre (11,4% di share, quasi il doppio della media di Rai2 in prima serata). Lo stesso prodotto, che documenta, valorizza e promuove un’eccellenza culturale e turistica italiana, è stato visto da due milioni di persone in Francia e proiettato in 50 paesi diversi.

Visto che il documentario è stato trasmesso dalla rete nazionale, pare scontato che il comunicato sia stato coordinato con la sua programmazione in prima serata. Non vedo niente di furbesco, piuttosto una buona strategia di comunicazione: ma perché diventa «svilente» e «furbetta» quando si parla di cultura?

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