Inflazione in arrivo dagli Stati Uniti: l’arte protegge?

Gli economisti del mercato dell’arte avvertono che gli Usa potrebbero raggiungere uno stato di stagflazione che non si vedeva dagli anni ’70. Il timore potrebbe incentivare l’acquisto di opere d’arte

L’installazione «Shibboleth» (2007) di Doris Salcedo nella Turbine Hall della Tate Modern. Cortesia Getty Images
Jillian Billard |

Negli ultimi 12 mesi, i prezzi negli Stati Uniti sono aumentati di uno sbalorditivo 6,2%, un rialzo che non si registrava dal 1990. Il 10 novembre 2021, un rapporto pubblicato dal Governo degli Stati Uniti ha mostrato un aumento dello 0,9% per cento dei prezzi al consumo. Settembre ha visto un incremento dello 0,4%, mentre ottobre ha chiuso con un aumento dello 0,6%.

L’amministrazione Biden aveva sperato che l’inflazione si sarebbe ridotta con la ripresa dell’economia dopo la pandemia di Covid-19, ma gli sconvolgimenti della catena di approvvigionamento e una domanda maggiore rispetto all’offerta hanno portato ad aumenti dei prezzi di cibo, carburante, affitti ed energia. Se la tendenza attuale è un indicatore di ciò che verrà, il Governo potrebbe essere spinto ad alzare i tassi di interesse più rapidamente del previsto.

Il rischio, quindi, è quello di una continua spirale al rialzo, per cui i salari aumentano per stare al passo con la crescita dei costi di un’ampia gamma di beni di consumo, il che a sua volta significa che i prezzi continuano ad aumentare per coprire i costi operativi. Questa prospettiva potrebbe avere ricadute sulla base costituita dai consumatori statunitensi. Quali implicazioni potrebbe avere questo per il mercato dell’arte, che, nel corso della recente stagione, si è dimostrato in buona salute e apparentemente pronto per una forte crescita nel prossimo anno?

James Goodwin, docente di Economia dell’arte e autore di The International Art Markets: The Essential Guide for Collectors and Investors, ha studiato i precedenti periodi di inflazione in Europa e in America e afferma che, storicamente, il mercato dell’arte è rimasto inizialmente inalterato durante gli «attacchi» di crescita dell’inflazione.

Ma, negli anni successivi, è stato colpito negativamente nei periodi in cui il tasso di indebitamento è aumentato al fine di ridurre l’inflazione, causando un rallentamento della crescita economica. Questo può portare a un fenomeno noto come stagflazione (ossia una stagnazione economica accompagnata da inflazione, Ndr), un termine che è entrato nell’uso comune tra alcuni economisti negli ultimi mesi. L’ultima importante stagflazione si è verificata negli anni Settanta.

«Storicamente il mercato dell’arte ha attraversato diversi cicli di inflazione e ci sono potenziali venti contrari, ha affermato Evan Beard, National Art Services executive di Bank of America. Uno di questi è un ciclo in cui i tassi salgono precipitosamente negli anni a venire. Ciò non solo renderà più costoso il possesso di opere d’arte, ma significa anche che il costo legato all’opportunità di possedere opere d’arte sarà più elevato», ha affermato Beard.

In questo caso i collezionisti potrebbero dover «ripensare» la propria collezione o fare affidamento su un investimento a lungo termine. La storia suggerisce che l’arte è un accumulatore di valore, un bene paragonabile ad altri beni come i metalli preziosi. L’arte venduta all’asta, in particolare se prodotta da artisti appartenenti al pantheon storico dell’arte, tende a superare i tassi di inflazione a lungo termine. Ma il mercato globale dell’arte è ampio e sfaccettato, comprendendo innumerevoli sottomercati. In definitiva, il valore dell’arte è influenzato da una serie di variabili che sono generalmente troppo complesse e volatili per essere utilizzate come base di previsione.

Doug Woodham, managing partner di Art Fiduciary Advisors, una società con sede a New York che fornisce consulenza finanziaria a collezionisti d’arte e istituzioni, afferma che per coloro che cercano una copertura dall’inflazione pura, ci sono alternative migliori con costi di transazione inferiori. Questi investitori farebbero meglio a investire in immobili, obbligazioni indicizzate all’inflazione e azioni. «È molto difficile definire in modo scientifico e ponderato l’effettiva relazione tra i prezzi dell’arte e l’inflazione», afferma.

Uno studio molto dibattuto sull’arte come veicolo di investimento è stato svolto nel 1974, quando, durante un periodo di inflazione dilagante, il fondo pensione British Rail di proprietà pubblica ha investito quasi il 3% delle sue partecipazioni, equivalenti a 40 milioni di sterline, in dipinti impressionisti, stampe, disegni e mobili. L’investimento è stato ripagato con un impressionante rendimento annuo del 13,1% (6% corretto per l’inflazione).

Ma l’esperimento è soprattutto indicativo della precarietà del mercato dell’arte. La vendita tempestiva della collezione da parte della British Rail nel 1989 è stata infatti effettuata al culmine del boom speculativo dei dipinti impressionisti, alimentato dai collezionisti giapponesi, con un rendimento annuo del 20,7% in questa categoria. Inoltre questi casi generalmente non sono un valido riferimento per gli investitori che desiderano ottenere informazioni su come realizzare un profitto, poiché tendono a includere solo lotti che hanno ottenuto buoni risultati nella fascia alta del mercato.

Un altro fattore da considerare per gli investitori sono i costi per sbloccare il capitale dalle opere d’arte, che possono essere astronomici rispetto ad altre strategie di investimento. «L’arte non è necessariamente una merce, quindi non è necessariamente un investimento, afferma Beard. Non ti paga un dividendo, quindi la correlazione con l’inflazione non è chiara».

Storicamente, il prezzo dell’arte è aumentato in tempi di inflazione. «Ma l’arte è una classica risorsa basata sul sentimento», aggiunge Beard. Il mercato dell’arte è guidato più «dall’effetto ricchezza e dalla quantità di reddito disponibile nella fascia ultra alta della piramide, che a volte può essere separato dalla struttura economica complessiva del mercato globale. Attualmente, la repentina comparsa di individui con un patrimonio netto ultra elevato sta avvenendo a un ritmo record. Questo è guidato da un’accelerazione della crescita nello spazio del private equity e dall’accelerazione delle società di vecchia linea digitalizzate e globalizzate su scala». Il risultato, dice, è «un ambiente di ricchezza globale che è rialzista per l’arte».

«Il vero motore del mercato dell’arte è la ricchezza in eccesso, e ciò che l’inflazione fa, ovviamente, è ridurre il valore del denaro», afferma James Goodwin.
La domanda in attesa di risposta è per quanto tempo persisteranno i prezzi gonfiati e se avranno effetti a lungo termine sulle tasche dei potenziali acquirenti, che in ultima analisi determinano il valore dell’arte. Più profonda, forse, è la domanda su che cosa emergerà man mano che il mercato diventerà più globalizzato. Ma, su questo, Goodwin mantiene una prospettiva ottimistica, dottolineando il potenziale di un mercato più diversificato sempre più influenzato da culture diverse. «La chiave per il mercato dell’arte è capire che la cultura e il gusto hanno più valore di ogni altra cosa», afferma.

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