India-Pakistan: un dissidio che influisce sul mercato dell’arte asiatico

Dal contrabbando ai visti, responsabili di fiere, biennali e gallerie ci parlano dei problemi del confine conteso e delle loro ripercussioni sul mercato

Visitatori dell'India Art Fair 2022
Kabir Jhala |

Il congelamento del commercio bilaterale tra Pakistan e India, in vigore dal 2019, mostra pochi segni di disgelo dopo che a maggio un annuncio ufficiale aveva assicurato che la situazione non sarebbe cambiata. Le relazioni tra le nazioni rimangono ai minimi da 20 anni, in parte a causa dell’annessione del Kashmir da parte dell’India: entrambi i Paesi rivendicano la regione himalayana come propria.

Tuttavia, nonostante il Pakistan abbia giurato di interrompere tutti gli scambi con l’India, le merci importate dal vicino orientale sono raddoppiate, raggiungendo i 142 milioni di dollari tra aprile e maggio di quest’anno, e questo riflette solo ciò che viene registrato ufficialmente. Sebbene questa cifra rappresenti una frazione minima del commercio complessivo sia per l'India che per il Pakistan, sottolinea una verità ampiamente nota: gli scambi tra le due nazioni continueranno finché le loro culture saranno intrecciate.

E così è per il commercio d’arte contemporanea della regione che, nonostante i numerosi e crescenti ostacoli logistici, ha lavorato silenziosamente intorno alle tensioni che ribollivano da quando l’ndustria ha iniziato a svilupparsi nel subcontinente all'inizio degli anni Novanta.

Questo è da tempo il caso dell'India Art Fair (Iaf), il più grande evento commerciale d'arte dell'Asia meridionale. Fin dalla sua prima edizione nel 2008, la fiera ha compiuto uno sforzo concertato per includere gli artisti pakistani nel suo programma e consentire loro di esporre negli stand delle gallerie indiane, come parte di una strategia più ampia per divenire un hub per l’arte contemporanea dell’Asia meridionale al di là del’India.

Ma nelle ultime edizioni, i tentativi in tal senso sono diventati meno fattibili. All’edizione di quest’anno, tenutasi in aprile, all’artista in residenza, un pittore britannico-pakistano con base a Londra, è stato negato il visto per visitare l’India. L’artista ha chiesto di non essere identificato per timore circa le future richieste di visto.

La sua situazione non è senza precedenti. Parlando con la nostra testata sorella «The Art Newspaper», l’ex direttore della Iaf Jagdip Jagpal, che ha gestito la fiera tra il 2017 e il 2021, afferma che in due edizioni ha cercato di organizzare presentazioni personali di artisti pakistani con gallerie indiane. In entrambi i casi, i programmi sono stati cancellati a causa di complicazioni legate ai visti.

Jagpal rifiuta di fare anch’egli i nomi di questi artisti per non ostacolare i loro futuri tentativi di entrare in India. Non è sempre stato così. Nel 2015 la fiera è riuscita a organizzare grandi presentazioni in collaborazione, come la mostra «My East is Your West», che presentava opere dell’artista pakistano Rashid Rana e di Shilpa Gupta, di Mumbai.

La mostra si è poi spostata alla Biennale di Venezia e, secondo quanto riferito, il direttore dell'Iaf era in trattativa con l'Alta Commissione del Pakistan a Delhi per organizzare un programma di scambio di artisti. «Le cose sono decisamente peggiorate qualche anno fa, anche se la logistica della spedizione delle opere dal Pakistan all’India o l’ottenimento dei visti non sono mai stati un processo agevole», afferma Jagpal.

Senso degli affari
Ironia della sorte vuole che l’India debba molto al Pakistan per aver creato un interesse globale per l’arte contemporanea dell'Asia meridionale. Questo perché il sistema di gallerie meno sviluppato del Pakistan ha spinto i suoi artisti a cercare una rappresentanza internazionale, diffondendo così il loro lavoro a una base di collezionisti al di là del subcontinente.

La presenza di artisti e collezionisti pakistani alla fiera non gioverebbe solo alle relazioni di soft power, ma anche agli affari. Una gallerista che può testimoniarlo è Renu Modi, che ha fondato la Gallery Espace a Delhi nel 1989. Nel corso degli anni Novanta e Duemila, la galleria è diventata un punto di riferimento in India per l’arte pakistana.

La Modi ricorda di aver allestito una mostra personale del miniaturista pakistano Talha Rathore nel 1998 e dice di aver valutato le sue opere in modo troppo modesto, sottovalutando il calore con cui esse sarebbero state accolte dal pubblico indiano. Se ne rese conto solo dopo che la mostra andò esaurita «in poche ore», dice.

Anche le mostre successive della Galleria Espace dedicate ad artisti pakistani, tra cui quella di Ali Kazim nel 2008 e la presentazione di Safdar Qureshi all’Iaf 2015, sono state tra quelle con i risultati migliori. Ma al giorno d’oggi la Modi è meno tentata, se così si può dire, di ospitare artisti provenienti da oltre confine a causa delle crescenti difficoltà logistiche e dei crescenti disordini politici. «Non lo rifarei, non per un po’. Nel 2016 ho tentato di organizzare una mostra collettiva di artisti pakistani, ma mi è stato consigliato di cancellarla».

Incubi logistici
Le tensioni tra i due Paesi possono anche spiegare perché alla Biennale di Kochi-Muziris di quest’anno, la più prestigiosa mostra d’arte indiana che si aprirà a dicembre, non esporranno artisti pakistani. Negli anni precedenti, almeno un artista pakistano, come Bani Abidi o Rashid Rana, è sempre apparso nella line up.

Shwetal Patel, membro fondatore della Biennale di Kochi, afferma che, sebbene la mancanza di pakistani non sia intenzionale, portarli a Kochi è «più problematico di quanto valga». Lo status di porto strategico e di base navale della città meridionale fa sì che le autorità indiane siano particolarmente rigide nel concedere i visti per visitarla: ai visitatori pakistani poi viene spesso richiesto un controllo quotidiano presso la stazione di polizia.

«C’è una crescente durezza intorno alla retorica nazionale di entrambi i Paesi e una schiettezza intorno al modo di fare le cose. Non credo che la situazione cambierà presto», afferma. Non è solo la spartizione del 1947 che continua ad avere conseguenze sul mondo dell’arte dell’Asia meridionale.

La divisione del Pakistan orientale e occidentale per formare il Bangladesh nel 1971 causa problemi anche per mostre come il Dhaka Art Summit. La sua direttrice artistica Diana Campbell afferma che dal 2014 portare gli artisti dal Pakistan al Bangladesh è diventato un crescente «incubo logistico».

La Campbell ricorda un incidente avvenuto durante il summit del 2018, quando a un artista pakistano (di cui non vuole fare il nome) è stato negato il visto fino a molto tempo dopo l’apertura della mostra, il che ha significato che sua moglie, cittadina canadese, ha dovuto trasportare e allestire la sua installazione da sola.

La difficoltà di allestire mostre transfrontaliere (soprattutto quelle che fanno esplicito riferimento a temi scottanti come la nazionalità e la religione) fa sì che spesso le più ambiziose e ben realizzate si svolgano in territori più neutrali, come l’Europa occidentale e gli Stati Uniti. Una mostra collettiva del 2019, «Homelands» al Kettle’s Yard di Cambridge, nel Regno Unito, ha riunito le opere di diversi artisti provenienti da India, Pakistan e Bangladesh per parlare direttamente dei confini nazionali, compreso quello del Kashmir.

«Una mostra di questa natura, a questo livello di produzione, è improbabile che venga allestita nel subcontinente, il che è un peccato ma anche una realtà», ha dichiarato la curatrice della mostra Devika Singh prima della sua inaugurazione.

Farlo attraverso Dubai
Se le mostre d’arte contemporanea tendono a guardare all’estero per gli scambi indo-pakistani, questo vale soprattutto per il commercio d'arte. Negli ultimi due decenni, Dubai è emersa come la principale rotta commerciale per i beni (tra cui arte e antiquariato) che viaggiano tra i due Paesi.

Si stima che 5 miliardi di dollari di merci viaggino tra Pakistan e India attraverso Paesi terzi come gli Emirati Arabi Uniti e Singapore. Si ritiene che solo Dubai rappresenti i due terzi di questo commercio.

Sebbene le opere d'arte, gli oggetti d’antiquariato e da collezione (ma non i gioielli) importati a Dubai da entrambi i Paesi siano soggetti a una tassa d’importazione del 5%, questa impallidisce in confronto ai pesanti oneri imposti al confine indo-pakistano dal 2019, quando i Paesi hanno cancellato lo status bilaterale di «nazione favorita» che dal 2011 aveva dimezzato le tariffe e le quote d’importazione.

Zahra Khan, un'importante curatrice pakistana che contribuisce alla gestione della galleria di famiglia Satrang a Islamabad, racconta di aver già inviato opere in India via Dubai, che è solo uno dei modi in cui i commercianti del subcontinente si muovono al confine.

Un altro gallerista pakistano, che desidera rimanere anonimo, ammette di inviare regolarmente opere attraverso Dubai come modo conveniente per spedire arte ai collezionisti indiani, a volte anche mettendo dipinti e oggetti più piccoli nel bagaglio a mano.

Il ruolo degli Emirati Arabi Uniti come tramite per gli scambi indo-pakistani è forse meglio esemplificato da Art Dubai, che ha sviluppato una nicchia per i galleristi di entrambi i Paesi per organizzare presentazioni di gruppo transfrontaliere.

Il direttore artistico della fiera, Pablo del Val, afferma che la fiera ospita molte gallerie indiane i cui programmi includono artisti pakistani. Aggiunge che «molti artisti di successo commerciale di origine pakistana ora vivono fuori dal Pakistan, in Europa o in Medio Oriente. Questo può contribuire a semplificare il trasporto delle opere d'arte all'interno e all'esterno del Pakistan o dell'India, ed è logisticamente più semplice che spedire direttamente dal Pakistan all'India, o viceversa».

Gli Emirati Arabi Uniti saranno presto sede di una mostra che riunirà circa 50 artisti del subcontinente. «Pop South Asia: Artistic Explorations in the Popular» aprirà a settembre presso la Sharjah Art Foundation e sarà la prima grande mostra di Pop Art proveniente dall’Asia meridionale. Ma l’aspetto più importante è che la mostra non resterà negli Emirati Arabi: a febbraio si sposterà al museo privato Kiran Nadar Museum of Modern Art (Knma) di Delhi, fondato dall’omonimo collezionista e mecenate.

Il suo curatore, l’artista Iftikhar Dadi, ammette che secondo lui, sebbene la situazione internazionale non sia favorevole all’allestimento di una mostra del genere in India, il suo contenuto sovversivo la aiuterà a passare sotto il radar dei funzionari governativi. Anche la posizione di Nadar, uno dei collezionisti più ricchi e potenti della regione, dovrebbe aiutare. Poche cose attraversano un confine conteso con la stessa facilità della ricchezza e dove c'è abbastanza volontà, di solito c'è un modo.

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