In Triennale la foresta è la nostra casa dolce casa

S’inaugura la programmazione estiva che celebra il centenario del museo milanese

V Triennale del 1933. Archi ornamentali di Mario Sironi. Foto: Crimella
Ada Masoero |  | Milano

Dopo la grande festa Triennale «100 Sweet Years», aperta a tutta la città, che l’11 maggio inaugura la programmazione estiva di Triennale Milano nel suo centenario, il 12 maggio si apre la mostra «Home Sweet Home» (fino al 10 settembre), curata da Nina Bassoli, in cui scorre un secolo di storia dell’abitare, riletta attraverso le mostre e le Esposizioni Internazionali di questa istituzione fondata nella Villa Reale di Monza nel 1923 e poi trasferita nel 1933 a Milano, nel palazzo progettato da Giovanni Muzio.

La mostra esibisce innumerevoli oggetti «domestici», intervallati da dieci ambienti affidati ad altrettanti artisti e designer di oggi (Assemble Studio, Londra, la paesaggista francese Céline Baumann, la designer Matilde Cassani, il Canadian Centre for Architecture-CCA, lo studio Diller Scofidio + Renfro, Usa, lo studio Dogma, l’architetta M.Giuseppina Grasso Cannizzo, il duo Lacaton & Vassal, Pritzker Prize 2021, lo studio catalano Maio, e il collettivo Sex and the City) che ci consegnano il loro sguardo su tematiche sociali come il ruolo della donna, la dicotomia casa-ufficio o il confronto tra spazio pubblico e privato.

Il 19 maggio, anniversario della (allora) Biennale di Arti Decorative del 1923, nella Villa Reale di Monza si tiene un convegno sull’Isia-Istituto Superiore per le Industrie Artistiche, innovativa scuola di arti decorative inaugurata nei suoi spazi nel 1922. Intanto, l’Aerostazione di Milano Linate ospita fino al prossimo dicembre «Triennale Milano 1923-2023», curata da Marco Sammicheli, che esibisce alcuni pezzi delle sue collezioni di design: piccoli oggetti di grandi designer e la poltrona «Joe» (De Pas, D’Urbino, Lomazzi) a rammentare, a chi parte di qui, la cultura del progetto che è propria di Milano e del suo territorio.

Di straordinario interesse il grandioso progetto «Siamo foresta» (dal 22 giugno al 29 ottobre), concepito da Fondation Cartier pour l’art contemporain per Triennale Milano, nella loro ormai consolidata collaborazione, che riunisce i lavori di 21 artisti di diverse provenienze (dal Brasile, con esponenti delle popolazioni Macuxi, Uni Kuin e Yanomami, questi ultimi stanziati anche in Venezuela, dal Chaco Paraguayo e dal Perù), ma anche nativi americani, cinesi e francesi, molti dei quali hanno condiviso periodi di intensa creazione in una foresta piantata trent’anni fa nel cuore della Francia dall’artista Fabrice Hyber.

L’assunto su cui si fonda la mostra, curata dal direttore di Fondation Cartier Hervé Chandès e dall’antropologo Bruce Albert, acceso difensore della causa degli Yanomami, come ci spiega Grazia Quaroni, direttrice delle collezioni di Fondation Cartier, è che da un lato occorre fondare un nuovo umanesimo fatto di un lavoro artistico (ma non solo) condiviso (molti, in mostra, i lavori a più mani), dall’altro urge che ci liberiamo dell’antropocentrismo di cui siamo intrisi, imparando da chi ha fatto della foresta il proprio laboratorio d’arte e di vita, e anche dagli altri esseri viventi che la abitano, animali o vegetali che siano. Se non vogliamo correre verso la catastrofe.

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