In tempi di crisi che cosa vale nel mercato dell’arte?

Mentre artisti di primo piano come Jeff Koons stanno perdendo terreno in asta, i lavori più impegnati che affrontano le emergenze globali finora hanno mantenuto un ruolo marginale

«Toast» (2022) di Eric Yahnker
Scott Reyburn |

«Questo dimostra la scarsa qualità della stampa». Così ha dichiarato Jeff Koons in un’intervista durante la conferenza in stile TED «Art for Tomorrow» in giugno ad Atene, lamentando come i giornalisti, a suo avviso, siano ossessionati dallo scrivere delle quotazioni delle sue opere, piuttosto che delle opere in sé. «Per loro è più facile parlare di denaro e di questi aspetti. Penso che chi scrive abbia una certa insicurezza nel parlare di arte», ha aggiunto Koons, il cui patrimonio è stimato in 400 milioni di dollari (395 milioni di euro circa), secondo il sito Celebrity Net Worth.

L’intervista si è svolta pochi giorni prima che «Balloon Monkey (Magenta)», la grande e vistosa scultura di acciaio realizzata da Koons, fra il 2006 e il 2013, venisse battuta all’asta da Christie’s a Londra per 10,1 milioni di sterline (11,7 milioni di euro circa). Il prezzo era meno della metà dei 25,9 milioni di dollari (20,8 milioni di euro) di un’altra versione della scultura, «Balloon Monkey (Orange)», raggiunto all’incanto nel 2014. A quell’epoca, durante l’ultimo picco del mercato, Koons era il decimo artista al mondo per realizzo in asta. Nel momento in cui questo articolo è stato scritto era al 65esimo posto, secondo Artprice.

Durante gli ultimi due decenni, Koons, come Damien Hirst, è stato uno degli artisti che ha prodotto ciò che si può definire «arte per il mercato». Lavori molto costosi, concettualmente non impegnativi, realizzati in una serie di varianti uniche immediatamente riconoscibili, che erano ideati appositamente per esposizioni in gallerie e fiere frequentate da una platea internazionale di persone molto ricche. Considerato il livello elevato di finanziarizzazione dell’arte e di trasformazione in «commodity» la cosa più interessante da scrivere sul mercato dell’arte, come per gli Nft, che sono una sua logica estensione digitale, è in ultima analisi il prezzo.

Arte adatta a Instagram
E la situazione continua ad essere così. Un piccolo olio su carta del 2018, «Study», di Flora Yuknovich, uno dei nomi più ricercati attualmente sul mercato dell’arte, è stato venduto da Phillips in giugno per 52.920 sterline (60mila euro circa), 10 volte la stima. Yuknovich fa parte di un gruppo in costante crescita di giovani artisti i cui dipinti in stile Rococò producono un effetto formidabile su Instagram e sulle pareti bianche di gallerie e case di lusso. Questi artisti possiedono tutti un’estetica peculiare, che viene ripetuta tante volte per le file di acquirenti (e speculatori) che attendono di acquistare le loro opere dai mercanti che li rappresentano.

«Gli artisti sono catalogati come figurine. La gente sta acquistando molti lavori con la speranza di riuscire ad ottenere qualcosa che agli incanti impazzisca», afferma l’artista Greg Ito, che vive a Los Angeles, dove sempre più mercanti stanno allestendo esposizioni di giovani artisti adatti a Instagram. «Sembra che ci siano solo più collezionisti speculativi che seguono le ultime tendenze e sempre più gallerie che sostengono queste tendenze per finalità di mercato», aggiunge Ito.

Prima o poi questi artisti potrebbero passare di moda e, come le gomme delle auto da corsa della Formula Uno che corrono sulla pista di un gran premio, potrebbero venire rapidamente sostituiti. E come la Formula Uno il mercato dell’arte è un circo che vive in un ambiente distratto che si sposta astutamente ovunque ci sia denaro. Miami ha ospitato il suo primo Gran Premio, Seoul la sua prima edizione della fiera Frieze. Al tempo stesso vaste zone del nostro pianeta surriscaldato sono state colpite dalla siccità più grave che si ricordi, la guerra in Ucraina minaccia di diventare nucleare, il prezzo del cibo aumenta, le compagnie petrolifere raccolgono profitti record, le diseguaglianze reddituali si amplificano. E così va avanti l’elenco delle principali questioni che affliggono l’umanità.

Il mondo istituzionale dell’arte sta cercando di fare il suo meglio per mostrare un’arte che affronta tutto ciò. La quindicesima edizione di Documenta a Kassel, in modo piuttosto controverso, ha delegato la curatela a un collettivo dell’Indonesia, riconoscendo un inedito ruolo di spicco ad artisti del Sud del mondo e alle loro preoccupazioni.

«Sun&Sea», l’opera-performance ambientale, esposta nel Padiglione della Lituania, vincitrice del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2019 sta facendo il giro del Nord del mondo celebrando l’assurdità di compiere 6mila miglia per giocare a frisbee sulla spiaggia, e il programma Back to Earth della Serpentine gallery ha chiesto a più di sessanta creativi di riflettere sull’emergenza climatica. Perché però questi nuovi temi ritenuti imperativi non hanno guadagnato popolarità sul mercato? Dopo tutto non è passato molto tempo da quando il movimento Black Lives Matter ispirò prezzi record alle aste per talenti sottovalutati come Kerry James Marshall, Barkley Hendricks, Charles White e Amy Sherald.

«I titoli cupi e tenebrosi hanno un effetto paralizzante sulle persone» spiega John Wolf, un consulente d’arte di Los Angeles riferendosi ai toni smaccatamente apocalittici di molti media. Wolf sta facendo la sua parte per modificare il modo di pensare del mercato dell’arte con l’allestimento di una mostra collettiva di 18 dipinti e ceramiche che si ispirano al cambiamento climatico nella Yucca Valley, in California, dove il riscaldamento globale sta minacciando di estinzione il famoso albero Joshua.

La mostra «Helter Swelter», esposta fino al 30 settembre, include un dipinto a olio di Eric Yahnker del 2022, Toast, raffigurante due mani che fanno tintinnare due coppe di champagne in un oceano che sale. L’opera costa 8mila dollari (7.900 euro). La gouache del 2018 di Julie Curtiss, «The Nest», che mostra un pesce catturato all’interno di una stretta treccia di capelli, una sorta di cifra distintiva dell’artista newyorchese, costa 44mila dollari (43.500 euro).

Affrontare e sovvertire
Cercare di vendere dipinti attenti all’ambiente è una cosa. Andare alla ricerca di opere concettualmente ambiziose che in definitiva cercano di affrontare e sovvertire le forze economiche che hanno fatto atterrare l’umanità del 21esimo secolo in questo caos è un’altra. Renzo Martens, per esempio, è un artista olandese che ha collaborato con la Congolese Plantation Workers Art League per creare figure scolpite nel cioccolato, cosa marcatamente provocatoria rispetto alla noncuranza post coloniale dell’Occidente.

Recensite con toni entusiastici quando furono esposte a New York nel 2017 allo Sculpture Center, queste inquietanti creazioni non commestibili e impossibili da fondere si vendono fino a 20mila dollari (19.700 euro) ciascuna per raccogliere fondi per le comunità della Repubblica Democratica del Congo impoverite a causa della chiusura dell’attività di Unilever nelle piantagioni di olio di palma. Finora queste opere hanno prodotto un profitto di 150mila dollari (148mila euro) in base a quanto afferma Martens. «È da notare come una galleria di spicco debba prenderli in considerazione come qualcosa che potrebbe generare uno spostamento assai significativo nel mercato dell’arte», afferma Martens. Finora ciò non è accaduto e nessuna scultura è andata all’asta. La battaglia del collettivo congolese per produrre una ricaduta sul mercato incarna pienamente le sfide che deve affrontare un’arte attivista, politicamente impegnata.

«Se l’arte attivista viene monetizzata, fallisce», dichiara Gregory Sholette, un artista e scrittore di New York il cui ultimo libro, The Art of Activism, and the Activism of Art, è stato pubblicato questo mese da Lund Humphries. Come possiamo fermare tutto ciò? Gli artisti o abbandonano completamente il mercato dell’arte o provano ad opporsi ad esso e quindi rischiano di rimanervi incastrati», aggiunge Sholette.

Banksy è probabilmente il più famoso artista-attivista. È anche l’ottavo miglior artista in termini di vendite all’asta, secondo i dati di Artprice. Nel 2018 uno dei suoi dipinti si è autodistrutto durante una vendita di Sotheby’s, mettendo in ridicolo gli eccessi del mercato e annullandoli. Ma il meccanismo che faceva a brandelli il quadro si è fermato a metà e la tela danneggiata è stata aggiudicata per 1,04 milioni di sterline (1,18 milioni di euro circa). Tre anni dopo, rimesso sul mercato da Sotheby’s come capolavoro dell’arte della performance, il dipinto a brandelli per metà è balzato a 18,6 milioni di sterline (21,9 milioni di euro).

«Il modo di pensare capitalista ha raggiunto il suo apice», afferma Ai Weiwei, uno dei pochi altri artisti politicamente impegnati il cui lavoro è stato entusiasticamente accolto dal mercato, con tutte le sue implicazioni. «Il nostro sistema educativo e di valori attuale non incoraggia l’introspezione e il pensiero critico», aggiunge. Ai crede che «il senso di impotenza e decadenza nel campo delle arti non si dissolverà presto» e la «mancanza di lavori politicamente impegnati continuerà nell’immediato futuro». Sarà così se questo campo e i media che se ne occupano continueranno a valutare l’arte principalmente per il suo prezzo. Forse Jeff ha ragione.

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