In Italia De Kooning diventò scultore

In concomitanza con la 60ma Biennale di Venezia, dal prossimo aprile le Gallerie dell’Accademia ospiteranno la più importante mostra dedicata in Italia all’artista olandese

«Untitled #12» (1969), di Willem de Kooning. Collezione Raymond e Patsy Nasher, Nasher Sculpture Center, Dallas. © 2023 The Willem de Kooning Foundation, Siae
Enrico Tantucci |  | Venezia

La più importante mostra dedicata a Willem de Kooning mai realizzata in Italia: così si annuncia l’esposizione che si svolgerà nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia dal 16 aprile al 15 settembre 2024, in concomitanza con la 60ma Mostra Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. La retrospettiva è stata presentata ieri nel museo dai curatori Mario Codognato e Gary Garrels, con il direttore delle Gallerie Giulio Manieri Elia.

Proprio l’Italia e la sua influenza nella formazione artistica di uno dei massimi interpreti dell’Espressionismo astratto americano, al di là della sua origine olandese (il pittore nacque a Rotterdam nel 1904 e morì a East Hampton nel 1997), sarà il filo rosso della mostra, organizzata con il museo dalla Willem de Kooning Foundation, che ha garantito i prestiti in arrivo da importanti musei e collezioni private europee e statunitensi.

«Willem de Kooning e l’Italia»
, questo il titolo della mostra, attraverso circa 75 opere tra dipinti, disegni e sculture, indagherà appunto per la prima volta il rapporto fondamentale che l’artista ebbe con l’Italia, in particolare per i due soggiorni trascorsi soprattutto a Roma prima nel 1959, all’apice del suo successo, e poi nel ’69, quando per la prima volta si accostò alla scultura, accanto alla pittura. Il ruolo di de Kooning scultore è stato fino ad oggi ritenuto piuttosto secondario e la mostra vuole invece evidenziarne proprio la centralità nella stessa evoluzione pittorica dell’artista.

Le opere selezionate spaziano dalla fine degli anni Cinquanta agli anni Ottanta. L’influenza della scultura modernista in bronzo che de Kooning subì dopo essersi recato casualmente nel 1969 a Roma in una fonderia di Trastevere dopo lavorava il suo vecchio amico newyorkese Herzi Emanuel, anch’egli scultore, sarà evidenziata nel confronto con tre opere di Alberto Giacometti, Auguste Rodin e Medardo Rosso.
Willem de Kooning nel suo studio di East Hampton, New York, 1971. Foto di Dan Budnik, © 2023 The Estate of Dan Budnik. All Rights Reserved | Opera © 2023 The Willem de Kooning Foundation, Siae
Ma alla base della mostra e delle scelte che la contraddistinguono c’è la febbrile ricerca di innovazione e sperimentazione di de Kooning, tra figurazione e astrazione. Il suo peregrinare tra Europa e Nuovo Mondo diede un impulso alla sua capacità di rigenerarsi, grazie anche al contatto con la tradizione della grande pittura e scultura rinascimentale e barocca dell’Italia che lo accolse, da Roma a Venezia, dove fu più volte in mostra alla Biennale. Fondamentale il periodo romano, durante il quale entrò in rapporto con artisti italiani già conosciuti a New York, come Afro, Toti Scialoja e Piero Dorazio.

L’esposizione si aprirà con le opere della fine degli anni Cinquanta realizzate da de Kooning prima della visita in Italia del 1959, con i dipinti del ciclo «Abstract Parkway». Seguiranno quelle realizzate a New York nel 1960 dopo l’influenza del soggiorno italiano, quando la sua astrazione si fa più aperta e luminosa, con dipinti come «Door to the River», «A Tree in Naples» e «Villa Borghese», esposti insieme per la prima volta. Saranno allestiti anche grandi quadri figurativi realizzati nella metà degli anni Sessanta, come «Red Man with Moustache» in dittico con «Man Accabonac».

Ampia la sezione della scultura, cui si dedica dopo la seconda esperienza italiana del 1969, base anche per la nuova fase di astrazioni pittoriche dalla metà degli anni Settanta sino alla fine del decennio, perché, come ha sottolineato Codognato, per de Kooning la scultura altro non è che la trasposizione tridimensionale della sua pittura. Accanto ai dipinti e alle sculture, ci saranno i disegni degli anni Sessanta e Settanta e in particolare i quattro realizzati a Spoleto nel 1969, quando fu invitato al Festival dei Due Mondi. Infine, l’ultima sala presenterà una selezione dei suoi ultimi dipinti, eseguiti tra il 1981 al 1985, nei quali la tridimensionalità sculturea dà origine a una nuova fase della sua astrazione: qui la figurazione è ormai solo una traccia e le protagoniste sono sonore fasce cromatiche alternate ad altre più chiare e più brillanti.

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