In attesa dei servizi aggiuntivi, fermi tutti!
È la conseguenza della sospensione delle gare per i servizi in musei e siti archeologici statali (ferme da dieci anni e in continua proroga) e dell’attesa dei venti superdirettori
La situazione dei cosiddetti «servizi aggiuntivi» di musei e siti archeologici è ormai davvero insostenibile. Da dieci anni si aspettano inutilmente le nuove gare per l’affidamento in concessione dei servizi nei siti statali. Quelle precedenti, sempre mal concepite e bocciate più volte da una serie di sentenze dei Tribunali amministrativi, hanno generato un groviglio di questioni irrisolte e danneggiato tutti. Il Mibact, frenato da troppi interessi contrapposti e senza una visione chiara di politica culturale, non ha saputo condurre a buon fine l’incontro con gli imprenditori privati del settore e ha in pratica rinunciato a valorizzare davvero il nostro immenso patrimonio. Il settore non è cresciuto come doveva, ma ora occupa in Italia circa 3mila persone.
La recente riforma del Ministero dei Beni culturali ha reso ancor più acuta la crisi. Sotto accusa i concessionari che realizzerebbero profitti esagerati beneficiando di una situazione opaca mentre il Mibact è portato a concedere loro privilegi indebiti. «Il Fatto Quotidiano» (25 settembre 2015) denuncia cifre e dati sugli «affari d’oro» dei concessionari dei servizi di Colosseo e Foro Romano. È il sito più visitato d’Italia e produce introiti complessivi per 41 milioni di euro all’anno. Ma il contratto di concessione con Electa (Mondadori) e Coopculture prevede clausole e condizioni standard, simili a quelle di tutti i musei più importanti: allo Stato va l’86% degli incassi dei biglietti, alle imprese il 14%; per i servizi aggiuntivi (bookshop, audioguide ecc.) la percentuale dello Stato è del 76%, quella dei privati il 24. Anni fa le cifre dei visitatori erano molto inferiori e quindi anche i guadagni.
Nel frattempo i contratti non sono cambiati, le percentuali sono sempre le stesse: tra biglietteria e altri servizi i concessionari oggi incassano 15 milioni all’anno, cifra che pare davvero sproporzionata anche al Mibact. Del resto è chiaro che senza il fatturato dei grandi Poli come Roma, dove opera Electa (con Coopculture), e Firenze, affidata a Giunti (con Civita), diverse case editrici, titolari delle attuali concessioni, sarebbero in seria difficoltà.
Gli introiti dei concessionari
Bisogna ricordare che per i concessionari non si tratta di guadagno netto. Il privato ha vari oneri e sostiene tutte le spese di gestione anche in un sito molto grande come quello del Colosseo e del Foro Romano. La spesa maggiore, i custodi, sono dipendenti del Ministero. Il concessionario remunera il resto del personale, che si occupa delle biglietterie, del call center, del bookshop, dell’allestimento delle mostre, ma che cura anche pulizia, sicurezza, servizi tecnici ecc. Ha inizialmente investito nelle strutture a partire dalle biglietterie e bookshop che non esistevano, nell’acquisto e nell’aggiornamento del software che gestisce tutta l’attività. Al Colosseo, come altrove, il concessionario deve assumersi anche le spese per tenere aperti siti minori, spesso in perdita.
«Il Fatto» denuncia l’irregolare mancanza di gare d’appalto. In ben 69 siti i concessionari (compresi quelli del Colosseo) lavorano da anni in regime di proroga, una decisione del Ministero che finora non è stato in grado di mettere a punto le nuove gare, sempre promesse ma non realizzate o annullate dai Tar di tutta Italia. L’ultima gara «normale», quella del 1997, aveva dato il via a tutti i contratti di concessione ma dopo 8 anni, alla scadenza del 2005, il Ministero non era pronto e ha preferito procedere con semplici rinnovi (allora ancora consentiti) per non interrompere i servizi e sempre in attesa delle gare. Un danno sia per il Ministero, che da anni subisce la situazione, sia per i concessionari incerti del futuro, che non possono programmare a lungo termine e quindi limitano al minimo gli investimenti anche ora che il Ministero, con la sua Riforma, punta a «valorizzare» l’intero sistema dei Beni culturali e dovrebbe contare su servizi aggiuntivi rafforzati. E proprio ai privati viene chiesto un decisivo salto di qualità.
Già in ritardo i bandi Consip
La Consip sta finalmente mettendo a punto le gare tanto attese (cfr. n. 356, set. ’15, p. 9). Le prime, che riguardano i «servizi operativi» e «di governo» (cioè manutenzione ordinaria degli edifici e dei siti archeologici) sono state bandite il 31 luglio 2015 per un valore stimato di circa 640 milioni. Non si sa invece quando partiranno le successive, già in ritardo perché annunciate entro ottobre. La seconda gara sarà per un «servizio di biglietteria nazionale» tuttora non ben definito. Il terzo gruppo di gare è il più atteso e il più importante, quello di tutti i servizi aggiuntivi che esistono ma vanno potenziati: comprende bookshop, servizi didattici, progetti culturali, allestimento di mostre, caffetterie, merchandising. Devono essere la vera vetrina dei luoghi d’arte, con servizi che dovranno rendere la visita sempre più comoda, piacevole, soddisfacente. L’«accordo quadro» che si sta mettendo a punto, dice Consip, riguarda tutti gli enti e musei pubblici. Verrà anche indicato un elenco di imprese alle quali ci si potrà rivolgere, anche se la scelta, a parità di costo, resterà libera. Ciascun ente, museo, fondazione, istituzione, cercherà di soddisfare al meglio le sue esigenze e scegliere il concessionario più adatto, al di là dell’elenco stilato da Consip. Patrizia Asproni guarda ai processi in corso dai due lati: quello pubblico, come presidente della Fondazione Torino Musei, e quello privato, come presidente di Confcultura e direttore Beni culturali del gruppo Giunti che gestisce con Civita e 350 dipendenti i servizi dei musei di Firenze, una delle città simbolo dell’arte italiana: «Secondo me la scelta, ci dice, non dovrebbe cadere necessariamente sull’impresa che offre il prezzo migliore, ma su quella che presenta il migliore progetto. Dobbiamo puntare sulla qualità. Nei bandi che si stanno predisponendo si parla di “offerta economicamente più vantaggiosa” e questo dovrebbe consentire una maggiore discrezionalità. Per me è un punto cruciale». E spiega che, per esempio, la pulizia richiesta in un museo non è la stessa di quella in un aeroporto. Serve un servizio più attento, una cura speciale anche se il costo può essere un po’ più alto. E continua: «Faccio il caso di una caffetteria: non si tratta di scegliere chi mi offre una royalty più alta, ma chi darà ai visitatori prodotti migliori. Avrà più clienti e quindi otterrà reddito maggiore e buona reputazione anche per il museo».
Direttori in arrivo (quasi)
Per ora non è affatto chiaro quando e come avverranno le gare per questi servizi. Certo dovranno porsi in sintonia con la vocazione specifica di ciascun luogo d’arte ma anche con i diversi progetti di valorizzazione elaborati dai 20 direttori di nuova nomina dei maggiori musei italiani. Pochi di loro sono già al lavoro, la maggior parte arriverà a novembre, alcuni a dicembre. Dovranno esserci tutti e ci vorrà tempo perché riescano a impadronirsi dei meccanismi burocratici (che molti di loro non conoscono affatto), dei problemi economici e amministrativi delle strutture che dirigono per poi mettere a punto un piano di «valorizzazione», loro principale missione. Quanto tempo ci vorrà? E quanti mesi passeranno prima che i nuovi concessionari siano scelti? Improbabile concludere l’iter entro il 2016. Fino ad allora i concessionari continueranno a gestire i servizi «in proroga» come avviene ormai da troppi anni. «Quello che mi rende perplessa, dice Asproni, è che nessuno dei nuovi direttori è un vero manager. Per una conferma basta scorrere i loro curriculum. Parliamo di esperienza di gestione, di pratica nel fundraising, di visione amministrativa».
Una situazione paradossale: proprio sui manager nei musei aveva puntato Dario Franceschini per «colmare il ritardo del nostro sistema museale». Del resto, mancano ancora i Consigli d’amministrazione dei 20 musei e il loro Statuto.
Per descrivere ciò che sta accadendo in attesa dei direttori, Patrizia Asproni cita proprio l’esempio di Firenze: «È un caso scuola: era un Polo aggregato e integrato che gestiva con successo 14 tra musei e altri luoghi d’arte. Dopo la Riforma è disaggregato, diviso in quattro segmenti che fanno capo a Uffizi, Accademia, Bargello e Polo Museale Regionale. Non si sa ancora come verrà diviso il personale tecnico (a parte i custodi), e si aspetta che i direttori indichino le nuove esigenze. Intanto tutto è sospeso: c’era un unico responsabile amministrativo, ora ne servono quattro e ci saranno anche quattro tesorerie e forse quattro referenti dei servizi aggiuntivi. Una moltiplicazione di persone, di responsabilità e di servizi».
Sui musei fiorentini è intanto esplosa una piccola bomba. La segretaria regionale del Mibact, Paola Grifoni, il 4 settembre ha emanato un ordine di servizio che sospende tutte le mostre programmate per il 2016 in attesa dei nuovi direttori. Questa la situazione: le mostre in corso nei musei dell’ex Polo fiorentino sono ancora una decina e per tutto il 2015 si sono susseguite cambiando ogni 3-4 mesi. L’esecuzione operativa delle mostre spetta al concessionario dei «servizi aggiuntivi». Se mancheranno le mostre i musei saranno meno attraenti e si creerà anche un pesante squilibrio finanziario. Agli Uffizi, per esempio, il biglietto base costa 8 euro; se c’è una mostra (cioè quasi sempre) sale a 12,50. Pagati i costi sostenuti dal concessionario (architetti, tappezzieri, falegnami, ma anche materiali, pubblicità, comunicazione, cataloghi ecc.) il denaro che resta oggi viene diviso a metà tra ex Soprintendenza e concessionario dei servizi. «In queste settimane, spiega Patrizia Asproni, conoscevamo già il programma di mostre dell’anno successivo, potevamo aprire le prenotazioni e mettere in vendita i biglietti, prezzo delle mostre incluso. Il programma 2016 non c’è, quindi possiamo vendere soltanto il biglietto base da 8 euro e non sarebbe corretto modificarlo in seguito, se qualche mostra verrà allestita. Una perdita per noi e per il museo».
Insomma a Firenze, punto forte del nostro turismo culturale, l’effetto attesa ha portato a una paralisi che dura da settembre. Il blocco vale anche per altre attività e altri introiti, come l’affitto di sale e giardini per pranzi aziendali e ricevimenti che le ditte prenotano con mesi di anticipo. In queste settimane di vuoto ciascuno si comporta come crede: mentre Firenze è ferma, a Roma la programmazione continua. Al loro arrivo i nuovi direttori dovranno rispettare impegni già presi.