Il web? Oggi ha una funzione consolatoria

Per Susanna Legrenzi, specialista in comunicazione integrata, è meglio allenarci a una nuova visione di medio-lungo raggio

Susanna Legrenzi
Veronica Rodenigo |

Milano. Susanna Legrenzi è giornalista e specialista in comunicazione integrata per visual identity, web site, social media strategy. Tra le sue collaborazioni figurano Expo Milano 2015, Fondazione Nicola Trussardi, Museo del Novecento di Milano, La Biennale di Venezia, Palazzo Grassi e Punta della Dogana. Abbiamo raccolto il suo punto di vista per considerare questo momento di emergenza da un'ottica più ampia, per poi proiettare lo sguardo oltre.

Per la prima volta l'esperienza virtuale diventa l’unica alternativa a quella diretta. Tra video, podcast, web radio, gallery di immagini… qual è a suo avviso il format più adatto o «gratificante» per colmare quest’assenza?

Penso vada fatta innanzitutto una distinzione tra property digitali (il sito web del museo) e social network. Il sito web è tuo: sei proprietario di un dominio, «giochi» in casa con una certa libertà pur sapendo che anche il digitale in realtà non è un ambiente elastico perché una volta messo online un nuovo website, il più delle volte ci si affida alla sola assistenza manutentiva e non evolutiva. Con il risultato di trovarsi poi alle prese con un canale di comunicazione più rigido della carta stampata. Nei social network le regole le dettano le piattaforme, più agili e veloci ma con algoritmi che governano la visibilità dei contenuti sempre meno limpidi e premianti. Fatta questa premessa, non credo ci sia un format vincente né una piattaforma più premiante di altre. Il format migliore, in genere, è quello che ti permette di raccontare al meglio il progetto di comunicazione che hai in testa. In questo momento, senza sapere quando e a che tipo di normalità torneremo, ogni museo ha dato un contributo seguendo nell’emergenza un processo spesso inverso, ovvero cercando di rendere fruibili le risorse già a disposizione: chi materiali d’archivio, chi capitale umano dalle reti di curatori, agli artisti, agli opinion leader. Ma già questa è in qualche modo sperimentazione: un rimescolamento di carte che evidenzia quanto sia necessario comunicare e produrre «oggetti» di comunicazione in ottica integrata e multicanale. Quest’emergenza inoltre ci ha confermato che il digitale non è poi così democratico: non tutte le persone hanno a disposizione la fibra, i giga illimitati sul telefonino e nelle nostre case a volte c’è un unico pc, spesso vecchiotto.

Qual è la relazione tra format, scelta della piattaforma social e target di riferimento?

Con la riduzione della reach organica (il numero di utenti unici che hanno visto un post nella loro sezione notizie, nella sezione di aggiornamento degli amici, o nel sito visitato, Ndr), sui social il tema nevralgico è la possibilità di raggiungere il proprio pubblico senza il supporto di campagne advertising. Contenuti iperpremianti fino a qualche anno fa ora non lo sono più perché l’algoritmo è cambiato. Tuttavia con buone campagne di advertising e piccoli budget, puoi raggiungere target interessanti. Questo presuppone però una conoscenza evoluta di questi mezzi e i musei non sempre hanno risorse per simili strategie, a volte perché banalmente non hanno una carta di credito da poter associare a un account.

Meglio pubblicare tanto e spesso o poco e dilazionato (magari anticipando ai follower un palinsesto definito, come stanno facendo alcune istituzioni)?

Più che la quantità credo sia importante la continuità. In questo momento penso che l’arte abbia una funzione consolatoria. Quindi è ottimo darsi un appuntamento sui social anche se per loro natura non sono piattaforme consequenziali. È infatti difficile creare una narrativa consequenziale su Facebook; è un po’ più semplice magari farlo su Twitter perché l’utente è incuriosito e ripercorre un feed, mentre le stories di Instagram per loro natura sono estemporanee... Più pubblichi più cresce la visibilità complessiva ma, come dicevamo, un valore molto importante è la multicanalità: web, Facebook, Twitter, Instagram, Tik Tok, Spotify per un Mp3… devono dialogare tra loro. Ciò richiede visione a lungo termine, capacità di budget (produrre un video non è un gioco da ragazzi: ora lo si fa con un telefonino perché il contesto è di emergenza) e un’asticella di qualità alta che è sempre premiante. Altra leva rilevante, sotto il profilo del target, è l’attivazione delle community: digitali, ma soprattutto fisiche. Incentivare il racconto della propria esperienza da parte del visitatore è importantissimo. Io non credo tanto nell’influencer marketing bensì nella capacità di moltiplicazione della comunicazione attraverso il proprio pubblico.

Quali sono gli errori da evitare?

L’eccesso di narcisismo dei singoli. L’importante è esserci e ognuno si sta attrezzando come può ma penso sia meglio non affannarsi e non creare troppo «rumore». Meglio allenarci a una nuova visione di medio-lungo raggio che tenga conto delle tante intuizioni nate in un contesto emergenziale.

Ci sono musei o istituzioni culturali che per assenza di risorse (o mancanza di visione) accentrano tutto nella figura dell’addetto stampa. Quanto è importante avere figure distinte?

Sarebbe preferibile (budget permettendo) avere team dedicati per i contenuti di un sito web e per i social, un capitale umano con skill verticali e figure professionali diverse: da chi sa progettare UX a chi sa produrre video. Parametri che in questa emergenza cadono: tutti stanno cercando di sperimentare lo sperimentabile con modalità spesso open source perché non c’è tempo e non sarebbe possibile fare diversamente. Questo però può essere anche un periodo per capire come progettare il futuro. Penso alla didattica museale, che solitamente viene condotta al 99% con attività negli ambienti fisici del museo. Questa emergenza ci fa immaginare una possibilità di estensione digitale delle attività, fruibili in classe o in famiglia. Dopo questa tragica «sbornia» d’informazione sarà necessario massimizzare gli sforzi. Per la didattica sarebbe bello progettare percorsi e contenuti di qualità su piattaforme che mettano insieme più musei.

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Veronica Rodenigo