Il virus dei Festival fotografici

Flaminio Gualdoni |

L’insormontabile difficoltà di trovare titoli sensati

C’era anche «Il cibo che uccide», per dire, al recente Festival della fotografia etica di Lodi. Niente di che, considerando il fatto che quest’anno un editto mentale autoimposto collettivamente recitava: non avrai altro tema all’infuori del cibo. 

Ma la declinazione che se ne dà se si parla di «fotografia etica», la quale evidentemente si chiama così per differenziarsi dalla fotografia immorale, da quella cazzara, da quella vagheggina, da quella chiffon (generi ai quali purtroppo, non so spiegarmelo, non si dedicano festival), è una roba un po’ da cineforum autoflagellante perché obbligatoriamente pensoso sui destini del mondo. Che so, se avessero deciso che era un festival della buona vecchia sana concerned photography tutto bene: ma questa dizione «etica» presuppone che qui stanno i buoni e nel resto del mondo no: e, visti gli scenari politici
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