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Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliL’insormontabile difficoltà di trovare titoli sensati
C’era anche «Il cibo che uccide», per dire, al recente Festival della fotografia etica di Lodi. Niente di che, considerando il fatto che quest’anno un editto mentale autoimposto collettivamente recitava: non avrai altro tema all’infuori del cibo.
Ma la declinazione che se ne dà se si parla di «fotografia etica», la quale evidentemente si chiama così per differenziarsi dalla fotografia immorale, da quella cazzara, da quella vagheggina, da quella chiffon (generi ai quali purtroppo, non so spiegarmelo, non si dedicano festival), è una roba un po’ da cineforum autoflagellante perché obbligatoriamente pensoso sui destini del mondo. Che so, se avessero deciso che era un festival della buona vecchia sana concerned photography tutto bene: ma questa dizione «etica» presuppone che qui stanno i buoni e nel resto del mondo no: e, visti gli scenari politici recenti, le rivendicazioni di primato morale mi parrebbe sempre opportuno maneggiarle con grande cautela.
In Italia il modello del festival fotografico si è così diffuso, proliferando in ogni ordine e grado, che dargli una caratterizzazione è diventato una fatica improba in cui si stremano schiere di impavidi organizzatori, i quali cercano di mettere insieme titolazioni onnicomprensive (così che alla fin fine puoi esporre un po’ chi ti pare e soprattutto ciò che le finanze ti permettono) e spesso, non bastandogli, allegano specificazioni così concettose che l’onanismo intellettuale a loro gli fa un baffo.
Per dire, a Castelnuovo di Porto hanno optato per un «In Itinere» che come il grigio andrebbe un po’ su tutto, ma poi, forse in omaggio al genio titolatorio di Lina Wertmüller, gli hanno schiaffato a fianco la specifica «Percorsi, paesaggi e attraversamenti tra fotografia, libri, arte e architettura nel paesaggio, nella natura, nelle migrazioni e nelle criticità degli eco-sistemi planetari». Visto che siamo dalle parti di Roma, un sapienziale «me cojoni!» pare d’obbligo.
Forse fan meglio quelli di Sestri Levante, che di anno in anno si chiamano sempre «Una Penisola di Luce», maiuscole annesse, che pare il titolo di una pagina del mitico sito Verybello e invece è un contenitore di «workshop, microseminari, conferenze, presentazione libri, proiezioni e il consueto photoparty». Il che mi fa rosicare perché nel mio curriculum non vanto neanche un microseminario e non ho mai partecipato a un photoparty, che magari è una cosa licenziosa e io ne son sempre stato all’oscuro.
A Corigliano Calabro sono andati via lisci di Expo e si sono arroccati in un anodino «Agroalimentare e dintorni», in cui spiccavano operazioni come «Bufale e mozzarelle» e «Pane nostrum». A Sassoferrato e a Colorno, gemellati, hanno giocato il carico e hanno calato un altisonante «L’ordinario quotidiano» che ha sempre un suo bel perché. Che disdetta!, hanno commentato quelli del potente festival fotografico di Roma, questo lo volevamo noi.
Sentendosi defraudati di cotanto titolo ci hanno ponzato sopra un bel po’ e poi, come quello là della pubblicità, si son messi in testa un’idea meravigliosa e hanno contrattaccato da par loro: a Roma sì che siam veramente forti, il nostro festival si intitola «Il presente». A loro vada un pensiero riconoscente per il fatto di averci risparmiato il sottotitolo.
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