Il vaccino salverà anche l’arte
L'analisi di Deloitte: senza eventi in presenza perdono tutti e con le garanzie torna il rischio di una bolla speculativa

Quali sono stati gli effetti della pandemia sui consumi culturali e sull’acquisto di opere d’arte e quali prospettive si delineano per il prossimo futuro? Prova a rispondere a queste domande la Pulse Survey di Deloitte «Lo stato dell’Arte. Una fotografia del settore Art&Finance ai tempi del Covid-19», che ha fornito un’istantanea del settore interpellando oltre mille soggetti fra artisti, collezionisti, operatori, esponenti del mondo accademico e appassionati dell’arte. Dalla ricerca emerge come l’asset class «arte» mantenga la stessa attrattiva del periodo precedente all’emergenza pandemica secondo l’81% degli intervistati, benché risulti assai difficile intravedere un’effettiva ripresa nel breve periodo in mancanza di un vaccino che possa riportare alla partecipazione fisica di vendite e momenti salienti di incontro per i collezionisti.
In effetti, anche se le piattaforme digitali sono state di importanza chiave per mantenere vivo il settore durante la prima ondata della crisi sanitaria, esse sopperiscono solo parzialmente all’impossibilità di prendere parte fisicamente agli eventi dedicati quali mostre, fiere e aste. Solo il 28% dei rispondenti alla ricerca ha infatti attribuito un punteggio elevato all’efficacia degli strumenti online nel sostituire la fruizione dell’arte dal vivo, con il 31% che ne ha invece confermato la scarsa efficacia. Circa un soggetto su quattro ha utilizzato il digitale per acquistare opere d’arte durante il lockdown, ma solo l’8% sostiene che l’online sostituirà i servizi dal vivo per una quota superiore al 50%.
Riguardo alle gallerie d’arte la Pulse Survey di Deloitte chiarisce che il 52% degli operatori ha registrato un calo fra il 25% e il 50%, prevalentemente dealer e gallerie, e le aspettative nel breve periodo permangono poco rosee, con il 91% dei partecipanti che si attende per la fine dell’anno una contrazione del fatturato pari o superiore al 25% rispetto al 2019. Per quanto riguarda le case d’asta, il calo dei fatturati è stato mediamente del 60% nel primo semestre 2020, includendo anche le aste online.
Proprio queste ultime hanno prevalso in termini numerici e hanno costituito un’alternativa nell’impossibilità di allestire vendite fisiche, anche se principalmente per beni da collezione dai valori contenuti, se si pensa che il prezzo medio dei lotti di questi incanti è rimasto al di sotto dei 13mila dollari. «Pur in un contesto difficile già avviato nel 2019, contraddistinto da una ridotta disponibilità di opere di altissima qualità e una contestuale cautela dei collezionisti nella fase di acquisto, il mercato delle aste ha dimostrato una forte adattabilità e una tenuta importante, spiega Pietro Ripa, private banker di Fideuram, che ha collaborato alla redazione del report Deloitte. Ciò è stato possibile grazie alla riorganizzazione di interi dipartimenti delle case d’asta e a nuove strategie di vendita. Le nuove aste in formato “ibrido”, ovvero metà live e metà in streaming così come la preparazione di cataloghi “cross category”, con lotti appartenenti a dipartimenti diversi che cercano di intercettare un collezionismo nuovo, dalla capacità di spesa un po’ più contenuta e dalle maggiori competenze digitali, si sono affermati come strumenti essenziali per mantenere vivo il mercato anche nella seconda parte di quest’anno così particolare».
Quanto al futuro, secondo Ripa se il 2021 sarà ancora un anno di necessario distanziamento sociale ciò comporterà la riduzione di eventi come gli appuntamenti fieristici. «Ne conseguirà che le economie di scala risulteranno vincenti, con un possibile consolidamento anche nel settore delle aste, aggiunge il private banker. Sarà importante anche porre un limite alle garanzie, tornate in auge proprio nelle aste serali ibride di giugno e luglio: un loro uso indiscriminato favorirebbe infatti il formarsi di una pericolosa bolla speculativa decisamente da evitare».
