Il travaglio infinito della «Madonna del parto»

Una sentenza del Consiglio di Stato impone il ritorno dell’affresco quattrocentesco di Piero della Francesca nella cappella originaria

La «Madonna del parto» di Piero della Francesca nella sua collocazione attuale, all’interno del Museo di Monterchi
Laura Lombardi |  | Monterchi (AR)

La sentenza del Consiglio di Stato sancisce il ritorno della «Madonna del parto» di Piero della Francesca alla cappella del Cimitero di Monterchi dove era collocata fino a trent’anni fa quando fu trasferita, nel 1992, nel centro di Monterchi, in un edificio moderno prima adibito a scuola, poi trasformato in museo per accoglierla. La motivazione era la maggior fruizione dell’opera al pubblico con conseguente beneficio economico per il borgo, visto che il cimitero si trovava in campagna, e solo i veri conoscitori vi facevano tappa.

A sostegno dello spostamento nel museo, dove nel 2018 era stato creato un nuovo allestimento con nuova illuminazione dell’affresco era anche il fatto che la «Madonna del parto» (datata tra il 1450 e il 1465) non era più situata nel suo vero luogo di origine, dove era stato affrescata intorno alla metà del Quattrocento, ovvero la parete di fondo della chiesa di Santa Maria di Momentana o in Silvis, alle pendici delle colline conosciuta con il toponimo di Montione (Mons Junonis), luogo legato in antico a culti di fertilità. La chiesa era stata infatti demolita al tempo della costruzione del cimitero nel 1785 e l’affresco collocato in una nuova cappellina, poi danneggiata da due terremoti, l’uno nel 1789, l’altro, più disastroso, nel 1917. A seguito di quest’ultimo la «Madonna del parto» era stata trasferita in custodia della famiglia Mariani, poi nella Pinacoteca di Sansepolcro, per far ritorno nel 1922 nella cappella del Cimitero dove durante la guerra fu addirittura murata coi mattoni, per proteggerla da danni bellici, e restaurata da Dino Dini nel 1950.

In quel decennio la cappella ebbe ulteriori lavori di ristrutturazione, che cambiarono la posizione dell’affresco, ponendolo in condizioni di luce diverse da quelle originali. Di quell’ultima collocazione è memoria in una scena del film di Valerio Zurlini «La prima notte di quiete» (1972), con Alain Delon. L’ultimo restauro conservativo è quello di Guido Botticelli al tempo della creazione del museo, dopo una lunga battaglia giuridica tra Comune, Diocesi e Ministero dei beni culturali. Il Tar si è pronunciato a favore del ricollocamento nella cappella del Cimitero e il Comune si è allora rivolto al Consiglio di Stato, il quale ha ora però confermato la sentenza del Tar. Una notizia che solleva le ire del sindaco Alfredo Romanelli che il 20 aprile si reca a Roma convocato dal viceministro Lucia Bergonzoni, confidando sull’appoggio di due parlamentari leghisti, Mario Lolini e Cristina Patelli, che sostengono non esser più presenti nella cappellina le condizioni per ricevere nuovamente l’affresco.


La scelta di riportare l’opera nella sua sede iniziale rientra però nella politica museale di questi ultimi decenni, tesa a rimpatriare le opere nei luoghi di origine, già avviata in ambito decoloniale (con ad esempio le restituzioni dell’obelisco ad Axum, prima a Roma), ma poi applicata in modo più esteso e molto caldeggiata in Toscana dal direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt. L’«aura» dell’opera, per chiamare in causa Walter Benjamin, è infatti del tutto persa nel museo comunale di Monterchi, dove, al di là della poca avvenenza del luogo (l’edificio francamente bruttino) è stato allestito un percorso teso a valorizzare l’affresco ma che, di fatto, ne impoverisce totalmente il significato, pur nella messe di informazioni offerte sulla storia dell’opera e del suo autore.

L’affresco, posto solitario sulla parete di una stanza, dopo un percorso che va dalle sollecitazioni del bookshop (gadget, poster…), ai video e alle documentazioni fotografiche dettagliate delle indagini preliminari agli interventi di restauro e del restauro medesimo, può perfino apparire ad alcuni meno glamour delle visioni ricevute nelle sale precedenti, tanto più che parte del pubblico è ormai abituato a fruire delle opere in modo più digitale che reale (da qui, per giungere al paradosso, il successo delle Klimt experience, Van Gogh experience ecc.). Il ritorno nella cappellina non dovrebbe essere quindi inteso come gesto elitario di fruizione ma semmai come educazione a guardare veramente certe opere che, più di altre, possono soffrire nell’essere musealizzate. E il borgo di Monterchi, pur privato della sua «Madonna», potrebbe sicuramente progettare percorsi di collegamento al vicino cimitero, rimanendo quindi legato alla fama dell’affresco.

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