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Il Tefaf Report vorrebbe essere la «Bibbia», ma io ne dubito

Bruno Muheim

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Ogni anno il rapporto Tefaf è atteso dagli addetti ai lavori come il beaujolais nouveau dai giapponesi. Quest’anno l’edizione 2017 esordisce con dati veramente sorprendenti. Da diversi anni rileviamo le difficoltà delle case d’asta; ma leggere stilato da altri, nero su bianco, che il loro giro d’affari globalmente è diminuito nel 2016 del 18,75% è davvero preoccupante. Si tratta di un dato certo, basato sulla somma di tutte le aste del mondo, passato dai 21,08 miliardi del 2015 ai 16,9 miliardi del 2016. Possiamo anche anticipare che i dati del 2017 non saranno per niente migliori. Nessuna asta eccezionale è prevista quest’anno, e quanto ai risultati dei primi tre mesi dell’anno non c’è tanto da celebrare. Nessun settore economico può reggere tale flessione senza iniziare profonde ristrutturazioni, per non dire ridimensionamenti. Alla luce di queste cifre si capiscono ancora meglio i recenti cambi direzionali di Christie’s e ancor meno gli acquisti milionari di società di consulenza da parte di Sotheby’s.


Il secondo dato importante è molto più difficile da verificare: nello stesso periodo i mercanti d’arte avrebbero visto il loro giro incrementarsi del 20%, passando da 23,25 miliardi a 27,9. L’autore del report, la Tefaf Foundation, società di ricerche economiche nel settore dell’arte, non è molto propensa a spiegare come sono arrivati a questa cifra: bolle doganali, risultati delle fiere, bilanci delle società coinvolte sono elementi d’apprezzamento che per ovvi motivi spesso diminuiscono o aumentano le cifre reali in funzione delle necessità dell’utente, ma non consentono una quantificazione reale del dato. Possiamo veramente permetterci di dire che il mercato dell’arte è un’entità con così poche variazioni da un anno all’altro che se fatturano meno le case d’asta vendono di più i mercanti? 


Un fatto vero, di cui si sono cominciati a vedere gli effetti nel 2016, è la serie di partenze di esperti eccellenti che hanno impoverito le società di vendita in questi ultimi anni, in particolare Sotheby’s e Christie’s. I rapporti personali molto solidi che alcuni hanno costruito per anni con i loro clienti consentirà a coloro che si sono messi in proprio di ottenere ottimi risultati a discapito di quelli delle case d’asta. Soprattutto quando si tratta di arte contemporanea e di decine e decine di milioni. D’altra parte, le garanzie offerte ai venditori dalle case d’asta sono sempre più un argomento chiave dei mercanti nelle loro trattative con potenziali acquirenti. I dealer ora considerano il rapporto con i loro clienti molto più sano, avendo assunto un rischio finanziario reale con il fatto di vendere quadri di loro proprietà ma scelti con criteri estetici determinati, mentre le case d’asta a certi clienti anticipano la somma della vendita e dunque sono sempre più propense a difendere soprattutto le opere in cui hanno un interesse economico prevalente rispetto alle altre; non sono dunque più intermediari super partes.


Occorre tener presente poi che questo documento è stato ordinato da Tefaf, la fiera di Maastricht dei mercanti d’arte, persone sicuramente onestissime; ogni tanto però il loro documento sembra indulgere un po’ troppo in direzione autopropagandista. Il rapporto Tefaf rimane uno strumento di lavoro eccellente per il mercato dell’arte, ma, avendo la pretesa di dare il maggior numero possibile di dati, scivola in qualche caso nel ridicolo. Ad esempio nell’assegnare quote di mercato a Picasso e Modigliani, che avrebbero perso il 65%, e a De Kooning, che avrebbe guadagnato il 54%: basta un quadro a 100 milioni di dollari e tutte le statistiche cambiano, visto che questa è merce che non si vende a dozzine. Pare anche abbastanza inverosimile che i Paesi Bassi abbiano quasi la stessa quantità di gallerie d’arte della Francia e che sempre in Francia ci siano più gallerie che lavoratori dell’intero settore dell’arte.


È molto interessante notare che la ripartizione in percentuale del venduto alle aste tra America, Europa e Cina è rispettivamente del 29,5%, 31,5 e 40,5%, ma che la parte globale della Cina nel mercato dell’arte è solo del 18%. I compratori cinesi preferiscono dunque acquistare all’asta, mentre in Europa sempre di più sono le fiere il campo d’azione preferito dai collezionisti. I gravi problemi delle aste sarebbero allora soprattutto un fenomeno americano: la diminuzione del 40% è davvero rilevante. Gli autori di Tefaf 2016 concludono il loro lavoro con una prospettiva molto ottimista. Sicuramente sarà il caso della prossima edizione di Tefaf; ma per le altre fiere e soprattutto per le aste vedremo. Io personalmente ne sono meno sicuro. Secondo me, Tefaf, Art Basel e Frieze si assicureranno sempre più vendite, lasciando agli altri una situazione molto più fiacca.

Bruno Muheim, 04 aprile 2017 | © Riproduzione riservata

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