Il perturbante di Smith e l’utopia salvifica di Berti

A Firenze due progetti di Sergio Risaliti, tra Museo Bardini e Museo Novecento

Un particolare di «Names of the Hare», 2017-18, di Anj Smith. Foto © 2018 Alex Delfanne, All Rights Reserved Una veduta dell’allestimento di Vinicio Berti al Museo del Novecento
Laura Lombardi |  | Firenze

Proseguono fino all’1 maggio due progetti del Museo Novecento, a cura di Sergio Risaliti e organizzati da Mus.e. Al Museo Bardini, in collaborazione con Hauser&Wirth, «A Willow Grows Aslant the Brook» riunisce dodici opere di Anj Smith che, per stile e ispirazione, si calano nello spirito del luogo. Infatti, lasciando qui da parte l’ormai inflazionata definizione di dialogo tra antico e contemporaneo, resta la suggestiva affinità tra la minuzia preziosa dell’artista inglese, d’accento inquietante e surreale nel tracciare volti, animali, nature morte, e la collezione dell’antiquario Stefano Bardini.

E se Anj Smith sottolinea quanto le opere riviste nei musei fiorentini aprano «un varco nella cacofonia delle nostre realtà sature di dati», Risaliti paragona i suoi lavori a delle Wunderkammern «in cui lo spirito ghiribizzoso e alchemico del manierismo sembra rinascere sotto una veste assolutamente contemporanea, aggiungendo quanto di perturbante si nasconde tra le pieghe della realtà e dell’immaginario più glamour».

In quelle raffigurazioni, composte tramite sottilissime stratificazioni cromatiche dei pigmenti, ritroviamo i grandi temi della tradizione occidentale, il senso di fragilità e caducità della natura, bellezza e morte, pienezza e vacuità, in una mescolanza di riferimenti alla storia dell’arte, al mondo della moda, all’immaginario medievale e rinascimentale, e all’illustrazione scientifica, da assaporare con tempi lenti e contrari a quelli della fruizione odierna.

Al Museo Novecento è invece una selezione di dipinti dell’artista fiorentino Vinicio Berti (1921-91), provenienti dalla raccolta di circa 600 opere donate alla città di Firenze dalla vedova Libera Pini, insieme a manoscritti, documenti e lavori grafici.

La mostra (ultimo capitolo delle celebrazioni del 2021 per i 100 anni dalla nascita del maestro, con il convegno «Avanti popolo» tra Palazzo Vecchio e Museo Novecento), propone a cura di Risaliti e di Eva Francioli un trittico «ideale» di lavori, restaurati per l’occasione, che si riferiscono al momento in cui l’artista, dopo l’impegno dal 1947 col «Movimento Arte Oggi» e poi nel 1950 e col gruppo dell’«Astrattismo classico», affronta una fase di ricerca più individuale, nella quale si interessa alla triade cromatica di Malevic, fondata sul dialogo tra bianchi, rossi e neri.

I tre dipinti del 1951 compongono un racconto di angoscia e riscatto, passando da una composizione geometrica e intricata, all’affiorare di presenza umane rese in modo quasi espressionista, fino a giungere a «Simbolo di verità», con falce e martello, a ricordarci quanto l’utopia comunista rappresenti per Berti, anche negli anni successivi, un approdo salvifico per la società.

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