Il nuovo modo del Mao di guardare all’Oriente comprende anche il contemporaneo

Il museo rinnovato dal neodirettore Davide Quadrio porta a Torino Lu Yang, Xu Zhen, Wu Chi-Tsung, Charwei Tsai e Zheng Bo

Particolare di un paravento del XVII secolo, periodo Edo, Tokugawa
Jenny Dogliani |  | Torino

Nell’immaginario occidentale le culture dell’Oriente esercitano una grande fascinazione. Restiamo ammirati di fronte ai magnifici e antichi reperti custoditi nelle collezioni dei musei dedicati. Ma ne conosciamo la reale portata? L’aspetto rituale, il significato e l’utilizzo nei contesti originari? Perché e come sono giunti in luoghi così lontani nel tempo e nello spazio? Sono alcune delle domande che Davide Quadrio, nuovo attivissimo direttore del Museo d’Arte Orientale di Torino, rientrato da anni in Cina, si pone sin dall’inizio del suo mandato, con una serie di progetti volti a indagare i vari nuclei della collezione, formata da 2.300 opere dal Neolitico a inizio Novecento e oltre 1.400 reperti di scavo di periodo preislamico, provenienti dagli scavi iracheni di Seleucia e Coche.

«Buddha10», fino al 3 settembre, si focalizza su opere provenienti dalla Cina, l’area maggiormente rappresentata nella collezione, con reperti rituali, principalmente di ambito funerario e religioso; sono incluse alcune sculture buddhiste mai esposte. La mostra, che include anche opere di artisti contemporanei come Lu Yang, Xu Zhen, Wu Chi-Tsung, Charwei Tsai e Zheng Bo s’interroga inoltre sui problemi di conservazione e restauro di opere legate a tecniche e tradizioni ormai molto lontane e sul rapporto tra Buddhismo e nuove tecnologie.

«In uno spazio essenziale ed evocativo, dieci grandi statue buddhiste in legno o pietra di epoche diverse (dal XII al XVIII secolo) delle collezioni del MAO sono accostate ad alcune sculture provenienti dal Museo delle Civiltà di Roma, tra cui due straordinarie teste di Buddha in pietra di epoca Tang (618-907 d.C.). Le opere sono presentate a coppie, in un rapporto dialettico e diacronico che apre traiettorie di riflessioni su molte tematiche: il rapporto fra vero e falso, fra scienza e religione, la capacità del restauro di rivelare e nascondere come due tipologie di ripristino possono modificare profondamente due opere simili, il ruolo della luce nella fruizione delle opere e molto altro ancora», spiegano dal museo, dove fino al 14 marzo prosegue un focus sulla collezione di reperti dedicati alla figura della gru, uccello dalla forte valenza simbolica in Asia orientale, amato per la sua bellezza e le sue movenze aggraziate e simbolo di buon augurio.

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