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Il nuovo Consiglio Regionale dei Beni culturali: un organo privo di autorevolezza, nomine deludenti

Silvia Mazza

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Se si è dovuto attendere otto anni, per vedere ricomposto un organo (decaduto l’8 giugno 2009) strategico per la gestione dei Beni culturali in Sicilia e il risultato è un Consiglio regionale dei Beni culturali a cui si fatica a riconoscere autorevolezza, sia per la ridefinizione della sua composizione sia per le nomine fatte dall’ex assessore dei Beni culturali e dell'Identità siciliana Carlo Vermiglio (sostituito due giorni fa dall’avvocata messinese Aura Notarianni), allora se ne sarebbe fatto volentieri a meno. La qualità del pronunciamento del Consiglio è evidente sia direttamente proporzionale alla qualità dei suoi componenti. E poi, questo singolare insediamento affrettato, quando mancano ancora i componenti indicati dalla Conferenza Episcopale Siciliana e soprattutto dal Rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, candidato del centrosinistra alla presidenza, e a meno di due mesi dalle consultazioni elettorali che consegneranno proprio quel presidente della Regione chiamato anche a presiedere un Consiglio (che dura in carica cinque anni), lasciatogli in calcio d’angolo dal Governo uscente, alimenta il sospetto che ci siano questioni «urgenti» a cui si intenda dare una rapida soluzione. È arrivato, dunque, il momento di recuperare il Consiglio, poco importa se a nomine incomplete.

Già nella denuncia del febbraio scorso sul nostro giornale, sottoscritta dai presidenti di Legambiente, Gianfranco Zanna, e Italia Nostra, Leandro Janni, avevamo sollevato l’assoluta inadeguatezza del «nuovo» organo rispetto ai compiti che restano gli stessi attribuiti dalla legge 80 del 1977, e che concernono indicazioni e pareri praticamente su ogni aspetto delle attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, come pure, negli ambiti di sua competenza, sulla programmazione della Regione e la relativa attuazione, ma anche sul risanamento e la destinazione dei centri storici o la difesa e la valorizzazione delle coste. Un organo «snellito» rispetto all’originaria composizione pletorica (53 componenti), ma in cui pur sempre un terzo della rappresentanza è accordata ai politici, 5 su 15: oltre al presidente della Regione, l’assessore dei Beni culturali e dell'Identità siciliana, quello dell’Economia, e i presidenti delle due Commissioni legislative Ars «Bilancio» e «Cultura».  Anzi, più politicizzato oggi, perché dei restanti dieci, escluso l’esperto indicato dalla Cei, nove membri sono di nomina fiduciaria dell’assessore dei Beni culturali e dell'Identità siciliana, mentre prima erano i vari istituti e associazioni a indicare i propri rappresentanti, così come era il personale stesso delle Soprintendenze a esprimere i propri per ciascuna sezione tecnico-scientifica, nel rispetto, cioè, dei diversi specialismi (Lr 1977/80, art. 4, l. m).

Il Consiglio Regionale, omologo, in chiave siciliana, del Consiglio Superiore dei Beni culturali e paesaggistici 
D’altra parte l’organo collegiale siciliano, a differenza di quello nazionale non ha un carattere esclusivamente tecnico-scientifico. La legge regionale non dice in nessun punto che il Consiglio è consultivo dall’assessore ai Beni culturali (che nella Regione autonoma corrisponde al ministro) o convocato da quest’ultimo. A convocarlo è il presidente della Regione «almeno una volta ogni trimestre e comunque tutte le volte che il presidente lo ritenga necessario o gliene sia fatta richiesta da almeno un terzo dei componenti» (LR n. 80/77, art. 5). È il presidente che lo nomina con suo decreto, che lo presiede, partecipa ai lavori e lo convoca. È come se il corrispondente Consiglio superiore dei Beni culturali e paesaggistici venisse convocato dal presidente del Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio siciliano, insomma, a differenza di quello dello Stato, è dichiaratamente (lo stabilisce la legge regionale) tenuto a vista dal governatore. Quantomeno singolare per un organo consultivo a carattere tecnico-scientifico. E, infatti, questa definizione riguarda l’altro Consiglio, quello Mibact (Dpcm 29 agosto 2014, n. 171, art. 25, c. 1), non quello siciliano. La legge del 1977 ne indica la composizione, le funzioni, ma non lo definisce. Possiamo desumerne, allora, che oltre al ruolo del presidente della Regione, la compresenza di «tecnici» e politici lo configuri piuttosto come un organo ibrido.
Tornando a quello partorito due settimane fa, non è stata prevista la presenza di personalità eminenti del mondo della cultura, nel rispetto dell’equilibrio di genere, così come nel Consiglio nazionale, per cui manca un esperto paesaggista in una Regione che ha appena annullato di fatto i piani paesaggistici, o uno storico dell’arte che si pronunci sull’organizzazione di musei e gallerie, da appena un anno inquadrati nei nuovi poli museali, e del quale urgerebbe, per esempio, un parere determinante per trovare una soluzione al Caravaggio di Siracusa, lasciato anche dopo le nostre denunce nel maggio scorso alla conferenza alla Galleria regionale del Bellomo in condizioni termo-igrometriche proibitive e scandalosamente addossato a un altro dipinto. Per far notizia in Sicilia un Caravaggio deve essere rubato dalla mafia, come quello di Palermo nel 1969? O non è più grave la colpevole distrazione della Soprintendenza che dovrebbe tutelarlo?

Nomine di scarso spessore e di dubbia regolarità

L’avvocato.
Al posto, dicevamo, di riconosciute personalità del mondo della cultura, chi? Architetti, ingegneri e avvocati, nominati dai rispettivi Ordini. Se la new entry di un avvocato può avere una sua ragion d’essere, se si pensa che l’Assessorato, a causa della carenza difensiva interna, si rivolge all’Avvocato dello Stato sommerso, però, da migliaia di contenziosi, non ci risulta, però, che il legale sui cui è caduta la scelta (Ivan Chiaramonte) si sia particolarmente distinto nel patrocinio di cause in difesa del patrimonio regionale, mentre, per esempio, si poteva cercare tra gli avvocati che prestano il loro lavoro in favore del Centro di Azione Giuridica di Legambiente, che hanno contrastato la realizzazione di megainceneritori, fatto sospendere i lavori di costruzione del Muos (Mobile user objective system), difeso le riserve naturali e i piani paesaggistici, che sono intervenuti «ad adiuvandum» nella recente vittoria riportata dalla Regione nella causa risarcitoria di ben oltre 240 milioni di euro che pendeva sul suo capo per la mancata costruzione delle 71 villette all’Epipoli, a Siracusa, e che stanno scrivendo il ricorso alla Presidenza del Consiglio per l’impugnativa della sentenza del Tar di Catania contro la riserva naturalistica della Pillirina e il Piano Paesaggistico di Siracusa. Senza andare troppo lontano, c’era, tra i propri dirigenti interni, per esempio l’avvocato Salvo Salerno, che insieme al pool di Legambiente ha difeso proprio il piano paesaggistico di Siracusa da oltre 100 ricorsi, oltre a tutti quelli che aveva respinto quando era dirigente responsabile dell’area affari legali dell’Azienda foreste demaniali.
Il dirigente responsabile di struttura intermedia del Dipartimento Beni culturali. La scelta è caduta su Giuseppe Parello, l’architetto alla guida di un parco archeologico, che ha fatto da tre anni della Valle dei Templi un patrimonio dell’umanità ad orologeria, che cioè cessa di esserlo da una certa ora a un’altra per il banchetto del Google Camp, purché siano garantiti incassi a molti zeri, e che fissa come soglia oltre la quale non concederebbe il sito la sfilata di una pornodiva (ha detto proprio così!).
I tre titolari di cattedra. Di questo nuovo Consiglio fanno, poi, parte due docenti (non pervenuto, dicevamo, quello di Palermo) «titolari di cattedre in economia dei beni culturali o in materie afferenti il settore della tutela». Già non si comprende il valore opzionale quando per ciascuno dei due ambiti dovrebbe essere garantita rappresentanza, né perché si sia ristretta la cernita alle sole Università di Messina, Catania e Palermo, quando la legge in origine non poneva limiti territoriali regionali (Lr 77/1980, art. 4, l. e), con i quali non si è fatto altro che alimentare il solipsismo culturale in cui si si è chiusa da tempo la Regione.
Ma chi sono i due docenti scelti? Giuseppe Sobbrio (classe 1942), già ordinario di Scienza delle Finanze presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Messina, che ha insegnato anche alla Luiss e alla Scuola Superiore della Pubblica Istruzione di Roma, ma che, curriculum alla mano, non presenta alcuna specializzazione o pubblicazione in economia dei beni culturali, e Rosalba Panvini, soprintendente di Siracusa, che però non è un ordinario come espressamente richiesto, bensì docente a contratto all’Università di Catania. Possibile che fra tre Università un ordinario non lo si è riuscito proprio a trovare? Non insegna nemmeno una delle materie richieste, la Panvini, ma «Metodologie della ricerca archeologica». E dovremmo poi ritenere che sia stato valutato un credito il trattamento riservato dalla Soprintendenza al Caravaggio di Siracusa? E a tal proposito, non si profila un conflitto di interesse, dato che in questo caso potrà essere chiamata in quanto membro del Consiglio a esprimere parere su una propria azione in qualità di soprintendente? In questo caso, ma anche nell’iter di istituzione del Parco archeologico della Neapolis e in tutti quelli che si profileranno per Siracusa si asterrà dalle sedute consiliari? Tutto in regola, inoltre, con il limite che fissa a due incarichi quelli conferiti dall’Amministrazione regionale (Lr n. 9/2015, art. 49, c. 26)? La Panvini è anche commissario dell’ex Provincia di Caltanissetta: siamo a quota tre incarichi regionali, quattro con quello all’Università.
Il rappresentante della Fondazione Unesco-Sicilia. Mentre quello di Italia Nostra è stato depennato, l’«esperto» della terna che doveva essere indicata dalla Fondazione Unesco-Sicilia è il suo stesso vicepresidente, Franz Riccobono, laureato in Economia e commercio e cultore di memorie patrie peloritane: nient’altro degno di nota nel risicato curriculum pubblicato sul sito della Fondazione. Né si rintracciano negli anni suoi interventi o dichiarazioni che abbiano attinenza con le molteplici e complesse questioni su cui dovrà pronunciarsi il Consiglio. Possiede, in compenso, un negozio d’antiquariato a Messina, città dell’ex assessore Vermiglio al quale deve la nomina alla Fondazione, così come la concessione di alcuni spazi alla Real Cittadella, sempre a Messina, per una mostra permanente della sua collezione privata, che, stando all’ex assessore, «non interferirebbe» con i progetti di recupero dell’area predisposti dalla Soprintendenza.
Il componente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici. A chiusura della carrellata, non a caso abbiamo lasciato per ultima la nomina di Giuliano Volpe. Quello del professore ordinario di Archeologia all’Università di Foggia, studioso di chiara fama, è, infatti, un nominativo che stacca nettamente su tutti gli altri. Non si tratta «solo» di «un componente» del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici (questa la corretta denominazione, e non Consiglio Nazionale dei Beni culturali e ambientali, come si legge nel decreto di Crocetta dello scorso febbraio), come richiesto dalla nuova composizione del Consiglio siciliano, ma proprio del presidente dell’organo nazionale. Intanto chiediamoci subito se sia normale che sia l’assessore siciliano a scegliere un componente del Consiglio Superiore e non sia al contrario il Mibact a  indicare un suo rappresentante. La legge del 1977 prevedeva, invece, nel collegio siciliano quel rappresentante della Regione che all’epoca sedeva nel Consiglio nazionale per «garantire omogeneità di indirizzi a livello dell'intero territorio nazionale».
Per inciso, se appare opportuno l’inserimento in Sicilia di un componente del Consiglio Superiore, proprio nell’ottica di una reciprocità che favorisca quella omogeneità, non sarebbe auspicabile che si riaccogliesse anche a livello statale il rappresentante siciliano? Ad ogni modo, quella di Volpe è, finalmente, una nomina «tecnica» di alto spessore. Ma forse, anche, in quota PD. Il professore fautore della riforma Franceschini-Renzi del Mibact, nei mesi scorsi era ritornato più volte in Sicilia, non solo per promuovere il suo ultimo libro (Un patrimonio italiano. Beni culturali, paesaggio e cittadini, Utet, 2016), ma anche il 29 maggio scorso era intervenuto sui beni culturali al teatro Santa Cecilia nel convegno «Cambiamenti» promosso da Davide Faraone, semi plenipotenziario di Renzi in Sicilia. Lo abbiamo poi ritrovato anche nel composito parterre di ospiti di quella singolare kermesse estiva che da qualche anno si tiene a Brolo. Singolare per l’accostamento in questa località minore del messinese di un intervento di calibro come quello di Volpe, appunto, al concerto della banda della brigata Aosta o a conduttori televisivi locali, o alla mostra di un pezzo di pregio come la metopa di Selinunte del Museo Salinas di Palermo fatta allestire a un architetto consigliere comunale. Il tutto accompagnato da una passerella di politici, assessori regionali compresi, tra cui lo stesso Vermiglio a cui si deve la nomina di Volpe. Retroscena politici o meno, va comunque riconosciuta onestà intellettuale al professore, che gli ha consentito, per esempio, di apprezzare proposte anche di chi la pensa molto diversamente da lui, come il decalogo della politica culturale proposto ai sindaci da Tomaso Montanari. Un profilo specialistico, poi, il suo, quello dell’archeologo, particolarmente importante in una regione con un patrimonio archeologico di assoluta rilevanza e dove il Consiglio sarà chiamato quanto prima a misurarsi con il caso particolarmente spinoso dei parchi archeologici. È forse questa la ragione della fretta con cui è stato rifatto il Consiglio? Lo aveva più volte annunciato l’assessore messinese di volersi occupare dei parchi, fino a inventarsene pure uno nuovo, quello «sotto casa», di Tindari. Di certo quello con cui avrà a che fare il Consiglio è un quadro normativo e amministrativo alquanto caotico, con parchi perlopiù ancora in via di istituzione o già istituiti, secondo iter burocratici contraddistinti da un’interpretazione singolarmente variabile della legge regionale di riferimento (Legge Granata 20/2000), riconducibili al mandato dell’allora assessore al ramo Mariarita Sgarlata (primo governo Crocetta). Cosicché ogni decreto presenta procedure diverse l’una dall’altro: dalla carenza del parere del Consiglio stesso al decreto di perimetrazione una volta sì e l’altra no, per cui questi atti corrono «il serio rischio di essere annullati», come ci ha spiegato l’avvocato di Legambiente, Giuliano, nell’inchiesta che abbiamo dedicato all’argomento. Dovremmo intenderci subito, però, su quali parchi si vorrebbe dare alla luce. Si tratta, come dovrebbe essere, di far nascere strumenti di tutela e al contempo di sviluppo economico sostenibile dei territori in cui ricadono o, invece, erigere piazzeforti di gestione del potere, anche finanziario, sfruttando l’autonomia contabile che gli verrà attribuita a completamento dell’iter istitutivo? L’intenzione, in altre parole, è quella di sistemarvi, con la scusa dei tempi ristretti perché a breve l’attuale Governo sloggia, al posto dei legittimi Comitati tecnico-scientifici, commissari vicini all’assessore? E poco importa se non posseggono i requisiti richiesti dalla legge, come si è fatto con i due recentemente nominati nei due parchi di Selinunte e Naxos. Ma, poi, da questo Consiglio nominato dal presidente Crocetta, con componenti scelti da un suo assessore, ci si può attendere l’improbabile revisione di quanto apparecchiato da un altro assessore allo stesso ramo dello stesso governo Crocetta? Faccenda doppiamente delicata per Volpe al quale è richiesto di prendere la giusta distanza dall’ultimo libro della Sgarlata, pubblicato nella collana di cui è curatore scientifico, e nel quale l’ex assessora di Crocetta conferma la convinzione della bontà del proprio operato in tema di parchi archeologici.
In conclusione, le più importanti e delicate questioni riguardanti il patrimonio siciliano dovrebbero essere sottoposte al parere di un organo i cui due terzi dei componenti, essendo politici, decadranno con la nuova legislatura tra 50 giorni, e dei restanti dieci, nove sono nominativi fiduciari di un assessore del Governo uscente?

Silvia Mazza, 19 settembre 2017 | © Riproduzione riservata

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