IL MUSEO INFINITO | La Pinacoteca Vaticana

Storia, opere e luoghi dei Musei Vaticani, a cura di Arianna Antoniutti. Dalle origini al Quattrocento - seconda parte

Perugino, «Madonna col Bambino e i Ss. Lorenzo, Luigi di Tolosa, Ercolano e Costanzo»,  (Madonna dei Decemviri), 1496, tempera grassa su tavola, dalla Cappella dei Decemviri nel Palazzo dei Priori a Perugia. Pinacoteca Vaticana, inv. 40317 Giovanni Santi, «San Girolamo in trono», tempera su tavola, dalla Chiesa di San Bartolomeo a Pesaro. Pinacoteca Vaticana, inv.  40326 Antonio Vivarini, «Sant’Antonio Abate tra i Ss. Sebastiano, Cristoforo, Venanzio e Rocco; Pietà tra i Ss. Gerolamo, Pietro, Paolo e Agostino», 1464, tempera e oro su tavola, dalla Chiesa di Sant’Antonio a Pesaro. Pinacoteca Vaticana, inv.  40303 Carlo Crivelli e aiuti, «Madonna col Bambino e quattro Santi», 1481, tempera su tavola, dalla chiesa di San Gregorio ad Ascoli. Pinacoteca Vaticana, inv. 40298 Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, «Incoronazione della Vergine, Cristo deposto e Santi», (Polittico di Montelparo), 1466, tempera su tavola, dalla Chiesa di San Michele Arcangelo in Castello di Montelparo (AP). Pinacoteca Vaticana, inv.  40307
Guido Cornini |  | Città del Vaticano

Guido Cornini, storico dell’arte medievale e moderna, delegato scientifico della Direzione dei Musei Vaticani, ci accompagna tra le sale della Pinacoteca Vaticana.

Riprendendo il nostro percorso nella Sala V, troviamo una «Pietà» di Lucas Cranach il Vecchio, una presenza relativamente insolita per una collezione di pittura formatasi a Roma, ma che si spiega con la fiammata rivoluzionaria che, in pieno 1848, investì anche la Svizzera, con la conseguente soppressione dei monasteri e la secolarizzazione dei rispettivi beni. Vengono quindi posti sul mercato oggetti di natura prevalentemente liturgica ma anche opere pittoriche come questa, che di mano in mano, attraverso una catena di mediatori, trovano acquirenti pubblici o, più spesso, privati. In questo caso, un mercante bavarese di nome Strauss, peraltro confuso con l’omonimo musicista viennese, contatta la Nunziatura di Parigi per avvisare della messa in vendita dei manufatti provenienti da una serie di conventi svizzeri, tra cui quello di Kreuzlingen, da cui proviene il dipinto.

Pio IX autorizza il nunzio di Parigi a comprare molti degli oggetti, ora esposti in una vetrina della Sala degli Indirizzi: calici, croci, reliquiari e, anche, questo olio su tavola, sicuramente sradicato da un punto di vista territoriale, ma a suo modo una dimostrazione efficace della sollecitudine dei papi per il patrimonio artistico della cattolicità e della loro preoccupazione di impedirne la dispersione. È peraltro una buona testimonianza, probabilmente di bottega, della pittura di Cranach il Vecchio, piuttosto rara a sud delle Alpi.

Passiamo poi nella Sala dei Polittici, la VI, dedicata interamente alle grandi macchine d’altare, dove incontriamo in primis Bartolomeo di Tommaso da Foligno, artista dalle forme quattrocentesche inserite in un contesto espressivo ancora di matrice tardo-gotica, cui aggiunge, come apporto personale, una sua particolare componente onirica e fantasticheggiante, fortemente decorativa.

E poi ancora un altro campione della pittura folignate: Niccolò di Liberatore, detto l’«Alunno» (il nome deriva dall’errata lettura che Vasari dà della firma latina apposta a un suo dipinto: «Alumnus Fulginae», nel senso di «educatosi», «formatosi» a Foligno), autore di due grandi polittici, provenienti, rispettivamente, dalla Collegiata di San Venanzio a Camerino (la «Crocifissione» e «Santi») e dalla chiesa di San Michele Arcangelo a Montelparo (l’«Incoronazione della Vergine», «Cristo deposto» e «Santi») – firmato e datato, quest’ultimo, «1466».

All’interno della diffusa tendenza illustrativa, comune a tante valli dell’Appennino centrale, la cifra distintiva di Niccolò è costituita da un’inedita attrazione per il patetismo della pittura nordica, appreso forse dalla visione di esemplari mobili importati a Venezia, con cui l’entroterra adriatico era da secoli in stretti rapporti.

E, parlando di Venezia, come non menzionare il grande polittico del muranese Antonio Vivarini, firmato e datato “1464”, proveniente dalla chiesa di S. Antonio Abate a Pesaro e caratterizzato dall’inserto, nel pannello centrale, della scultura del Santo che dà il nome al complesso? L’attività dei fratelli Antonio e Bartolomeo Vivarini, tra i principali protagonisti del rinnovamento della cultura pittorica veneziana, si svolse in concorrenza a quella, ben più consapevole e umanisticamente orientata, di Jacopo Bellini e dei suoi familiari, su impulso dei quali si compì la conversione dell'ambiente lagunare alla nuova cultura prospettica.

Lo schema distributivo del polittico, ancora sostanzialmente gotico nel pensiero architettonico, è rinnovato dall'inserimento dei personaggi a diversi livelli di profondità e, potremmo dire, dal manifestarsi fra di essi di un primo rapporto psicologico; il valore dell'opera resta tuttavia affidato alla preziosità della pagina e la stessa indagine volumetrico-spaziale si contiene nell'ininterrotto fluire delle linee e dei colori.

Un ultimo, pregevole nucleo di opere presenti in questa sala è quello costituito dai tre dipinti di paternità crivelliana, uno dei quali – la «Pietà», collegata in origine alla pala della «Consegna delle chiavi»per la chiesa di San Pietro di Muralto a Camerino, di cui costituiva l’elemento sommitale – era in Vaticano già nel 1836, mentre i restanti due – il polittico della «Madonna col Bambino e Santi», proveniente dalla chiesa di San Gregorio ad Ascoli, e la «Madonna» di San Francesco a Force, datati rispettivamente “1481” e “1482” – già nella Pinacoteca Lateranense, furono riuniti con l’altro nella Pinacoteca di Pio X (1909).
Insieme, delineano un percorso non secondario dell’opera di Carlo, soprattutto dopo che il recente restauro, eseguito dal Laboratorio Pitture e Manufatti Lignei dei Musei Vaticani, ha confermato la probabile autografia del secondo.

Quanto lavoro c’è dietro le porte chiuse della Pinacoteca?

Ci siamo avvalsi del periodo di chiusura forzata per fare opere di manutenzione ambientale negli spazi aperti al pubblico, solitamente percorsi da eserciti di turisti, e per intervenire localmente con una molteplicità di migliorie espositive (didascalie, illuminotecnica, allestimento). Abbiamo anche approfittato di queste settimane per fare riordino inventariale e implementare la comunicazione sul web, con particolare riguardo ai magazzini e alla digitalizzazione del patrimonio esposto.

Contemporaneamente, sono andati avanti i restauri e la pianificazione delle attività culturali, per non trovarci indietro al momento della riapertura. Nei limiti del possibile, insomma, abbiamo cercato, di trasformare come si dice, una difficoltà in una opportunità.

Più in generale, ospitare i visitatori e organizzarne i flussi è solo una parte del nostro lavoro, ma il «dietro le quinte» dei nostri Musei – cioè come noi studiamo il nostro patrimonio, come lo prepariamo per la fruizione del pubblico e come lo conserviamo per le generazioni future – è ciò che davvero ci consente di essere un organismo vivo.

Pochi se ne accorgono, ma quel che l’ospite vede percorrendo queste sale è solo l’ultimo anello di una paziente catena di ricerche e azioni di tutela, che vanno dallo studio dell’opera e dalla eventuale rilevazione del danno alla sua segnalazione agli uffici preposti, fino alla rimodulazione ambientale e al restauro vero e proprio, che è solo la più estrema e anche la meno auspicata delle misure conservative. Trovare il giusto equilibrio tra lo stato oggettivo dell’opera, il ripristino della leggibilità originaria e l’affidabilità della sua trasmissione al futuro è la sfida che i curatori e conservatori di oggi hanno più che mai avanti a sé.

Riprendendo ora il nostro percorso di visita, la sala VII ospita diverse manifestazioni della pittura laziale e umbro-marchigiana della fine del Quattrocento, vale a dire immediatamente prima della comparsa di Raffaello sulla scena nazionale: opere di Giovanni Santi e di Pietro Perugino, quindi, che del grande Urbinate furono rispettivamente padre e maestro. Di Pietro specialmente si segnala, tra le altre, la grande Pala della «Madonna e Santi» per la Cappella dei Priori nel Palazzo Pubblico di Perugia (Pala dei Decemviri), eseguita – con varie interruzioni – tra il 1483 e il 1496. Capolavoro della maturità del pittore, voluta a Parigi da Napoleone (che però ne sdegnò la cimasa, rimasta in patria con la splendida cornice), la pala deve il suo nome alla magistratura perugina che la commissionò al pittore.

Tanto la tavola principale che la cimasa, raffigurante il «Cristo in pietà», sono state recentemente oggetto di un’ambiziosa operazione di ricongiungimento, svoltasi in prima battuta nel capoluogo umbro e poi in Vaticano: per la prima volta in 222 anni, i due elementi pittorici del complesso sono stati riuniti, all’interno della cornice originale, nell’ambiente stesso – oggi parte della Galleria Nazionale dell’Umbria – per la quale erano stati concepiti.

Al termine della tappa romana, che ha replicato l’esperimento nell’ambito delle iniziative «Museums at Work», la Galleria perugina ha disposto, con grande generosità, il deposito provvisorio della cornice presso la Pinacoteca Vaticana, così che sarà possibile, per i prossimi quattro anni, riallestire la pala con l’aspetto monumentale che essa aveva all’interno della destinazione originaria. Ecco, io penso che operazioni come questa, motivate da solide istanze scientifiche e filologiche, giustifichino gli sforzi di iniziative espositive anche complesse – e i rischi di movimentazione che queste inevitabilmente comportano.

IL MUSEO INFINITO
Un viaggio dentro i Musei Vaticani accompagnati da guide d’eccezione: i curatori responsabili delle sue collezioni
A cura di Arianna Antoniutti

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