IL MUSEO INFINITO | L’Inventario Generale

Storia, opere e luoghi dei Musei Vaticani, a cura di Arianna Antoniutti

Veduta del Magazzino delle Corazze. © Musei Vaticani
Alessandra Uncini |  | Città del Vaticano

Alessandra Uncini dirige, dal 1986, l’Inventario Generale dei Musei Vaticani. È dunque alla guida, sin dalla sua istituzione, del servizio scientifico cui è affidata la redazione, custodia e aggiornamento delle schede inventariali relative alle opere di competenza dei Musei Vaticani. Quotidianamente caricata e aggiornata nella banca dati informatica, tale documentazione è a disposizione della direzione, del personale interno dei Musei e, previa richiesta e autorizzazione, degli studiosi. In questo viaggio nel «Museo infinito», Alessandra Uncini ci illustra la nascita e il funzionamento di questo servizio.

Come tutte le grandi istituzioni dalla lunga storia, i Musei Vaticani hanno conosciuto, nel tempo, moltissime forme di inventariazione e catalogazione dei propri beni, soprattutto dell’esposto. Oltre alla loro secolare storia, i Musei sono inoltre, come è noto, un’istituzione plurale, composta di tante collezioni che, almeno per un certo periodo di tempo, e cioè finché sono esistiti i Musei Lateranensi, hanno avuto due sedi separate, e due amministrazioni relativamente indipendenti fra loro.

In questa notevole complessità di gestione di un patrimonio artistico immenso si conoscono i primi tentativi di inventariazione già in epoca molto antica. Ad esempio, prima della creazione dei Musei Lateranensi, abbiamo un inventario del 1841 redatto per valutare la consistenza e la qualità delle collezioni conservate nei magazzini, finalizzato all’individuazione di che cosa si dovesse trasportare nel Museo di San Giovanni. Si trattava quindi essenzialmente di inventariazioni strumentali. Poco più tardi, nel 1878, Leone XIII promosse una prima campagna strutturata d’inventariazione dell’esposto, necessaria a seguito di una riorganizzazione del museo. I Musei Lateranensi, invece, ebbero una loro inventariazione intorno agli anni ’20 del Novecento.

Ogni museo lavorava quindi secondo una concezione esclusivamente settoriale, priva di una visione d’insieme. Solo nel 1951 si concepisce l’idea di lavorare finalmente a un’inventariazione univoca delle collezioni vaticane. Si inizia assegnando il numero uno dell’inventario al vaso in fondo alla scala elicoidale di Giuseppe Momo, e poi, salendo e seguendo topograficamente l’andamento delle collezioni, si andrà a includere, questa volta sistematicamente, le opere dei magazzini.

L’attenzione ai magazzini ha costituito un momento fondamentale, frutto di una diversa sensibilità e di una visione moderna, in cui si accoglie con pari dignità, accanto all’esposto, l’altro polmone del museo. La prima pubblicazione scientifica si era avuta poco prima, negli anni 1936-1937, con Guido Kaschnitz von Weinberg per i magazzini di scultura. Ecco dunque emergere chiaramente la consapevolezza che i depositi costituiscono l’altra metà della missione del museo, come istituzione votata non soltanto all’esposizione, ma anche allo studio, alla conservazione e alla documentazione.
Ritratto del Fayyum di giovane uomo, lascito Federico Zeri, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Egizio
Per documentare si esamina ogni oggetto con un occhio che è più dell’archeologo che dello storico dell’arte, iniziando dunque a numerare le opere e a inventariarle fotograficamente, con delle piccole schede catalografiche. Poi, alla fine degli anni ’70 c’è un altro momento di grande cambiamento, con l’arrivo, da una parte, del Segretario economo Walter Persegati che, formatosi negli Stati Uniti, era stato in contatto con una realtà molto più pragmatica, e dall’altra con la nomina di Carlo Pietrangeli alla direzione dei Musei nel 1978.

Pietrangeli promuove una campagna di ricognizione sistematica delle opere, non soltanto quelle conservate nei Musei, ma anche quelle al fuori di essi, come ad esempio i dipinti e le sculture ospitati nei vari dicasteri in Vaticano e nelle nunziature in tutto il mondo. Vengono allora create delle nuove schede catalografiche in grado di accogliere maggiori dettagli, più rispondenti alle esigenze di una inventariazione scientifica. Nella seconda metà degli anni ’80 questo ufficio inizia a essere affidato a persone  con un determinato profilo scientifico, come Ivan Di Stefano, specialista di epigrafia latina, che nei Musei si stava occupando del riordino e dell’esposizione del Lapidario profano, proveniente dal Laterano.

Infine nel 1986-87 viene istituita la figura del responsabile dell’Inventario Generale, e venni scelta io. Ho una formazione archeologica, quindi forse più adatta, come impostazione accademica, a prendere in considerazione ogni oggetto con uguale attenzione, dal Laocoonte alla lucerna. Negli anni il personale dell’ufficio è aumentato per numero e capacità degli addetti e il lavoro di inventariazione è progredito. Al mio arrivo l’inventario contava circa 30mila schede, ora ne abbiamo 130mila. Nel tempo si è aggiunto il primo nucleo di schede del Catalogo Centrale, ossia dei beni di proprietà dei vari enti della Santa Sede, sia all’interno dello Stato stesso, sia nelle zone extraterritoriali. Con la legge di tutela che è stata promulgata nel 2001, è stata infatti attribuita ai Musei, in particolare al nostro ufficio, la custodia di tali schedature che sono a carico dei singoli enti detentori dei beni.

Alla fine degli anni ’90 abbiamo cominciato a lavorare all’informatizzazione dell’inventario, con l’implementazione progressiva di un sistema via via sempre più sofisticato, in grado di fornire dati più affidabili e concreti. Quello che facciamo, difatti, è fornire una serie di dati di base e, quando possibile, anche più dettagliati, ai colleghi che devono gestire le collezioni. I tre capisaldi sono: la natura, la collocazione, la conservazione di ciascun oggetto.

Negli anni, una notevole parte del lavoro è consistita nel progressivo assorbimento, all’interno della sequenza inventariale generale, degli inventari parziali delle singole collezioni, come la Pinacoteca, o la Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea. Un grande impegno ha richiesto poi, negli anni ’90, l'assorbimento delle collezioni che sono state trasferite dalla Biblioteca Apostolica Vaticana ai Musei Vaticani. In questo momento, stiamo ancora lavorando all'immissione nella sequenza generale del Museo Etnologico.

Come funziona il controllo sullo spostamento delle opere (ad esempio per restauri o prestiti) all’interno dei Musei Vaticani?

Per quanto riguarda i microspostamenti, c’è un sistema di monitoraggio molto stringente: qualsiasi movimento degli oggetti, all’interno e al’esterno del museo, deve essere debitamente autorizzato e deve essere documentato da un modulo aggiornato in tempo reale. In questo modo il database segue continuamente le opere. In media si effettuano circa 5-8mila spostamenti all’anno. Questo è quanto avviene nella normale gestione; quando ci troviamo invece ad affrontare progetti speciali, come ad esempio la ristrutturazione di un reparto, i numeri salgono in maniera esponenziale.

Com’è cambiato il lavoro dell’Inventario Generale grazie alla tecnologia?

È cambiato in maniera sostanziale. La creazione di un database progettato “su misura”, ci ha dato la possibilità di disporre di uno strumento che si è arricchito progressivamente di molte nuove prestazioni. Abbiamo potuto includere le concordanze con circa settanta vecchi inventari, la possibilità di allegare un numero potenzialmente infinito di immagini a ogni oggetto, quando, in principio, potevamo caricare una sola foto, facendo attenzione che non superasse i 100 kb. È stato un cambiamento epocale. L’intero archivio cartaceo, circa 70mila schede, è stato scansionato e allegato alle schede online già dieci anni fa.

Tornando al tema dello spostamento delle opere, negli anni ’80 tutta la movimentazione veniva registrata su schede cartacee, ora i moduli sono registrati automaticamente dal sistema. Allora era molto difficile riuscire a registrare tutto correttamente, scheda per scheda, ora il sistema di controllo è abbastanza stringente. È un lavoro di squadra, che richiede che ciascuno segua determinati percorsi perché il sistema funzioni. C'è poi, come ulteriore verifica, un'attività di revisione periodica: interi settori del museo vengono controllati, fisicamente, sala per sala, tutti gli oggetti nel magazzino dal primo all’ultimo, per verificare che ogni opera sia esattamente dove ci risulta essere.

Questo accade all’interno dei Musei; periodicamente, si effettuano anche i controlli nei dicasteri e nelle circa ottanta nunziature in tutto il mondo, luoghi in cui si trovano opere di proprietà dei Musei in concessione temporanea. Periodicamente, all’incirca ogni dieci anni, si effettua una verifica su queste sedi. L’ultimo controllo nelle Nunziature è stato fatto durante il lockdown del 2020. Anche in questo la tecnologia ci ha agevolato; oggi con una semplice e-mail ogni sede è rapidamente raggiungibile. Ricordo che molti anni fa, per la prima verifica effettuata tramite comunicazioni spedite per posta, furono necessari tre anni.

Qual è il rapporto fra l’Inventario Generale e il catalogo delle opere dei Musei Vaticani accessibile dal sito dei Musei?

Quello cui accedono gli utenti online è, ovviamente, una versione estremamente semplificata del nostro database, che è a metà tra lo scientifico e il gestionale. Il catalogo online è un’iniziativa fortemente voluta della direttrice Barbara Jatta fin dal suo insediamento. Oggi abbiamo online circa 11-12mila schede relative ad altrettanti oggetti presenti nelle gallerie di esposizione. La nostra ambizione è quella di giungere a pubblicare anche i materiali conservati nei magazzini, che costituiscono una continua fonte di sorprese per quantità e qualità delle opere conservate.

Pensiamo solo alla lunetta di Plautilla Bricci con il “Sacro Cuore”, recentemente esposta in mostra alla Galleria Corsini: quella magnifica opera è stata ritrovata circa venti anni fa in un sottoscala della Basilica di San Giovanni in Laterano. O ancora, i tre frammenti in marmo pentelico provenienti dal Partenone, esposti nel Museo Gregoriano Profano, riconosciuti da Hermine Speier, negli anni ’30, al momento della revisione dei magazzini. Si trovavano lì dall’inizio dell’Ottocento.

Ma c’è un piccolo esempio di questa bellezza nascosta anche nel mio ufficio: un acquerello che riproduce il mosaico della “Battaglia di Alessandro” della Casa del Fauno di Pompei. Il foglio era stato donato a Pio IX quando, fuggito da Roma durante la Repubblica Romana, aveva visitato gli scavi di Pompei. Ebbene, l’ho ritrovata per caso in un armadio del magazzino dei quadri.

I curatori hanno lavorato molto, anche recentemente, sui magazzini dei rispettivi reparti; ad esempio Alessia Amenta ha fatto un lavoro straordinario di recupero e riordino dei magazzini del Museo Egizio. È realmente un mondo tutto da scoprire, di ricchezza e varietà straordinaria: tutti ci aspettiamo dalle Gallerie dei Musei Vaticani una parata di capolavori spettacolari, ma quello che non ci si aspetta è che, schiudendo alcune porte poco note, si aprono prospettive inaspettate.

Un solo esempio: dalla Sala delle Nozze Aldobrandini si apre una porta e si entra in un corridoio, allestito all'inizio dell’Ottocento, con centinaia e centinaia di bolli di mattoni romani murati. Tutto questo è il frutto del lavoro dei nostri predecessori, veri giganti, sulle cui spalle poggiamo noi contemporanei.

In questi anni non ho mai spesso di stupirmi. Mi sono davvero divertita nel mio lavoro, sono grata a questo luogo. È stato un privilegio aver potuto lavorare con personalità eccezionali, a cominciare da Carlo Pietrangeli, Fabrizio Mancinelli, Gianluigi Colalucci, lo stesso Persegati.
«Golgota» (2019), di Sidival Fila. Musei Vaticani, Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea
Nell’Inventario confluiscono le nuove acquisizioni?
Certo, le accessioni continuano, soprattutto nel reparto dell’arte contemporanea, che è il settore in questo più attivo, con recenti acquisizioni come le opere di Jean-Michel Folon, o di Sidival Fila. I Musei di norma non acquistano quasi nulla, se non opere che abbiano diretta attinenza con le proprie collezioni.

Anni fa, ad esempio, venne acquistato, sul mercato antiquario inglese, un frammento di un cartone di un arazzo della Scuola Nuova di Raffaello, esposto nella Galleria degli Arazzi. Nel 1999 un’eccezione è stata lo straordinario lascito di Federico Zeri: un ritratto “del Fayum” di giovane uomo e dieci altorilievi funerari da Palmira: opere davvero straordinarie che siamo stati felici di accogliere ed esporre.

Quali sono i progetti futuri?

Spero che un prossimo obiettivo sia quello del catalogo degli immobili; abbiamo un patrimonio eccezionale che va opportunamente inventariato; l’intera Città del Vaticano è infatti iscritta dal 1984 sulla Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Anche questo è un lavoro da svolgere sotto il segno della tutela e della valorizzazione dei beni che ci sono affidati.

Sono temi per cui la sensibilità è notevolmente cresciuta in questi anni e da certe conquiste non si torna indietro. Si prosegue in questa direzione per fare sempre meglio e di più, ove possibile in sinergia fra Stato della Città del Vaticano e Italia: penso fra l’altro al prossimo anno giubilare. Il Vaticano senza Roma e Roma senza il Vaticano sono impensabili, nessuno di noi è intero senza l’altro.

IL MUSEO INFINITO
Un viaggio dentro i Musei Vaticani accompagnati da guide d’eccezione: i curatori responsabili delle sue collezioni
A cura di Arianna Antoniutti

© Riproduzione riservata