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Il museo fotografato in 3D

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Redazione GDA

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Al Musée de l'Elysée opere dei primordi della fotografia dialogano con i lavori di artisti contemporanei

È una delle domande ineludibili per chiunque si trovi a dirigere un museo in questi primi decenni del nuovo secolo, a maggior ragione se si tratta di un museo specializzato in fotografia: come far dialogare le opere del passato, anche recente, con le nuove tecnologie, sia in fase di conservazione che in fase di esposizione, senza tradire le prime e sfruttando al meglio le seconde? Una domanda che non è ovviamente solo tecnica ma è anche, e soprattutto, culturale, e alla quale tenta una risposta Tatyana Franck, direttrice del prestigioso Musée de l’Elysée (ginevrina, classe 1984, membro della Ypo, associazione che riunisce giovani direttori e manager internazionali, chief editor della rivista «Else», ha raccolto lo scorso anno l’eredità di due figure carismatiche come William Ewing e Sam Stourdzé) con la mostra «The Memory of the Future. Dialogues between Past, Present and Future», che accosta opere dei primordi della fotografia provenienti delle collezioni del museo a lavori di artisti contemporanei, trovando come luogo di incontro non un genere o una scelta poetica, ma l’utilizzo di determinate tecniche (fino al 28 agosto; in contemporanea anche la mostra personale di Steeve Iuncker).

Dall’ambrotipo al ferrotipo al più canonico dagherrotipo, le tecniche primitive affascinano oggi, come mai prima, i fotografi delle ultime generazioni, risultando quasi una risposta alle questioni sollevate dal digitale e dalla diffusione e smaterializzazione in rete della fotografia. Da Christian Marclay a Pierre Cordier, da Binh Dahn a Vik Muniz, da Oscar Muñoz a Joan Fontcuberta a Vera Lutter, numerosi sono gli autori che reinventano procedimenti antichi in una affascinante commistione di linguaggi e ipotesi.

A fianco di queste, la mostra presenta però anche immagini antiche rielaborate e riviste attraverso le più moderne tecniche di conservazione e riproduzione (interi libri digitalizzati e consultabili in 3D, ad esempio): non opere d’arte, dunque, ma esempi di come la tecnologia entri nella vita quotidiana del museo, modificandone pratiche e persino parte della natura.

Redazione GDA, 03 agosto 2016 | © Riproduzione riservata

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