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Il Museo del Bardo dopo il 18 marzo

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Redazione GDA

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Dieci mesi dopo l’attacco al Museo del Bardo in Tunisia, il direttore Moncef ci spiega gli sforzi per ricostruire il principale museo africano

Direttore Ben Moussa, com’è cambiata la vita quotidiana dopo l’attacco del 18 marzo?

Inizialmente temevamo che l’Isis avrebbe raggiunto il suo obiettivo, ovvero passare sopra la nostra eredità culturale. Ma la solidarietà che abbiamo riscontrato ci ha dato speranza. Il problema è il numero di visitatori, crollato dopo la Primavera tunisina nel 2011 da 600mila a 200mila presenze all’anno. Oggi i visitatori sono ulteriormente diminuiti ad appena 15mila al mese.

Il Bardo ospita l’immenso Tesoro di Nettuno, considerato uno dei più grandi mosaici a parete del mondo, e l’unico ritratto conosciuto di Virgilio. Ha notato una maggior consapevolezza tra i tunisini della loro eredità culturale?

Assolutamente sì. È un fenomeno nuovo ma tangibile. Nonostante l’importanza del turismo, la cultura è sempre stata messa in secondo piano dalla politica tunisina. Nei primi dieci anni del nuovo secolo, meno del 10% dei nostri visitatori era tunisino. L’attacco sembra aver riconciliato la gente con il loro patrimonio.

Qual è stato l’impatto della Primavera araba sul museo?

Nel 2009 abbiamo lanciato un progetto di ristrutturazione che avrebbe dovuto concludersi nel 2012. Ha patito gli effetti di ritardi incomprensibili e occupa ancora la maggior parte delle nostre energie: sette stanze su quaranta devono ancora riaprire. Ma non abbiamo sofferto la pressione politica, nemmeno sotto Ennahdha [il partito di maggioranza tra il 2011 e il 2014, Ndr.], e questo è stato importante.

Secondo lei le istituzioni culturali svolgono un ruolo intellettuale?

La cultura è una strada ma anche un barometro della transizione democratica. Oggi assistiamo a una proliferazione di iniziative culturali, soprattutto nelle arti visive. La libertà di espressione è più grande, il primo beneficio della rivoluzione è proprio la libertà di espressione. La programmazione e il numero di presenze al Teatro di Tunisia e al Centro Arabo della Musica Mediterranea la dice lunga sul cambiamento in corso. 

Il Bardo collabora con altri musei arabi? 

Purtroppo no. Abbiamo sempre collaborato con istituzioni europee e statunitensi, ma raramente con i nostri vicini. Avremmo molto da scambiare ma penso che loro preferiscano concentrarsi sulla continuità; noi stessi siamo appena usciti da questa tendenza.

Redazione GDA, 08 gennaio 2016 | © Riproduzione riservata

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