Il museo che trasformò una città

Il Guggenheim di Bilbao celebra il 25mo anniversario con una spettacolare mostra della sua collezione

Una sala del Guggenheim di Bilbao con opere di Alex Katz. Foto Roberta Bosco
Roberta Bosco |  | Bilbao

Il Museo Guggenheim di Bilbao compie 25 anni. Le polemiche che accompagnarono la sua inaugurazione sono lontane e nessuno mette più in dubbio la sua importanza per Bilbao e l’ecosistema artistico spagnolo. «È un caso paradigmatico di come l’arte può diventare un motore di trasformazione sociale ed economica. Il Guggenheim non è una franchising, ma un modello unico che non cerca di replicare i punti di forza di New York o Venezia, ma si avvale delle sinergie tra le diverse sedi», afferma il direttore Juan Ignacio Vidarte.

Per l’anniversario ha organizzato una spettacolare mostra della collezione riunita in questi 25 anni: 145 opere, di cui 130 in mostra, che hanno richiesto un investimento di circa 115 milioni di euro. Sono tutte opere iconiche che formano parte della storia dell’arte dalla metà del secolo scorso ad oggi con evidenti connotati mainstream, basti pensare che «Rising Sea» (2019), la prima opera di un artista africano, El Anatsui, con una chiara intenzione rivendicativa postcoloniale, è stata acquistata solo quest’anno.

Molte sono state commissionate appositamente per gli spazi del museo come il gigantesco serpente di Richard Serra, il «Wall Drawing #831 (Geometric Forms)» (1997) di Sol LeWitt, il circolo di lavagna di Long («Bilbao Cicle», 2000) o «La stanza della madre» (1995-97) di Clemente.

Con la mostra «Sezioni/Intersezioni», allestita dal 19 ottobre al 22 gennaio e curata dal team del museo, è la prima volta che la collezione occupa tutti gli spazi dell’edificio e che si mostrano opere di complicato allestimento, restaurate per l’occasione come l’unica scultura in metallo di Beuys («Blitzschlag mit Lichtschein auf Hirsch», 1958-85).

«La mostra è concepita come un trittico, formato da tre approcci tematici che dialogano tra di loro e con l’architettura di Frank Gehry che fin dall’inizio ha condizionato lo sviluppo della collezione» spiega il direttore. L’Espressionismo astratto, l’Informale, la Pop art, le problematiche del corpo con le inquietanti donne che sorridono di Alex Katz e «Man from Naples» (1982) di Basquiat, e le approssimazioni politiche di Jenny Holzer e degli artisti baschi, completano il percorso.

In questa epoca di realtà virtuale e spazi immersivi, non poteva mancare un’opera interattiva, non basata sulla tecnologia, ma sulle sensazioni fisiche del bozzolo di Ernesto Neto, che avvolge lo spettatore come un utero primigenio («White Bubble», 2013-17).

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