Il luminoso «autunno del Medioevo» di Lippo di Dalmasio
Rampollo dell’influente famiglia Scannabecchi, ebbe illustri commissioni e fu artista di prestigio. Ora il Museo Civico Medievale offre «un’immagine non stereotipata di un pittore spesso male interpretato»

Dal 17 novembre al 17 marzo 2024 il Museo Civico Medievale presenta «Lippo di Dalmasio e le arti a Bologna fra Tre e Quattrocento», a cura di Massimo Medica, direttore dei Musei Civici d’Arte Antica, e Fabio Massaccesi. Dopo le rassegne su Vitale da Bologna (2010), Simone dei Crocifissi e Jacopo di Paolo (2012) e Giovanni da Modena (2015) è il primo focus su Lippo di Dalmasio (Bologna, 1355 ca-autunno 1410), celebrato ma spesso travisato pittore bolognese del Tardogotico.
Figlio del pittore Dalmasio (Bologna, 1315 ca-1374 ca), nipote di Simone dei Crocifissi (Simone di Filippo Benvenuti, Bologna, 1330 ca-1399) e membro della prestigiosa famiglia ghibellina Scannabecchi, Lippo fu attivo dal 1377 al 1410 prima a Pistoia e poi a Bologna dal 1390 circa: le esperienze toscane gli valsero il rilevante ruolo di raccordo fra gli ambienti artistici di qua e di là dell’Appennino, mentre i legami familiari influenti subito lo inserirono fra gli artisti di prestigio attivi nell’appena avviato Cantiere di San Petronio, come indicano (1393) l’importanza di quella tela, perduta, per l’Altare Maggiore della Basilica, a quattro mani con Giovanni di Ottonello, e gli offrirono carriera artistica di illustri commissioni dell’intenso e vistoso cursus honorum politico.
Con oltre 30 opere esposte tra dipinti, sculture e manoscritti miniati (e, puntualizza il curatore, «anche due opere inedite: la “Madonna dell’Umiltà” della Collezione Poletti e la “Croce dipinta” della Collezione Rodolfo Siviero di Firenze, appena riconosciuta a Lippo di Dalmasio dalle indipendenti ricerche di Daniele Benati e di Emanuele Zappasodi»), la mostra contestualizza nel panorama artistico cittadino la poetica di Lippo fra crepuscolo del XIV secolo e albeggiare prerinascimentale del XV, nel pieno fulgore del luminoso «Autunno del Medioevo»: un’attività di spicco, benché opacizzata per secoli (fin dagli anni del bolognese cardinale Gabriele Paletti, 1522-97, teorico della «Pittura riformata») dalla tradizionale lettura di «pittore cristiano e devoto della Madre di Dio» (lettera dell’abate di San Procolo al cardinale Paleotti, 1580), fondata sul tema a lui più che consueto della Madonna col Bambino, repertorio di cui sono esposti l’affresco di Santa Maria della Misericordia del 1397, la tempera su tela dalle collezioni della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna e il citato lacerto di affresco nella Collezione Poletti.
Accanto a dipinti e affreschi di Lippo, Jacopo di Paolo, Jacobello e Pierpaolo Dalle Masegne, provenienti da musei, biblioteche, chiese italiani e collezioni private. Tre le sezioni: «Tra Bologna e Pistoia: i rapporti con l’arte toscana» ripercorre gli inizi dell’artista, comprese scultura (Andrea da Fiesole) e miniatura (Simone Camaldolese e Lorenzo Monaco), nel quadro dei rapporti tra Bologna e la Toscana; «Bologna 1390» segue l’attività di Lippo dopo il suo rientro a Bologna: degli anni 1390 sono l’Anconetta Lambertini firmata e datata 1394 (Pinacoteca Nazionale di Bologna), esposta per la prima volta con le ante laterali (Museo Stibbert di Firenze), e l’inedita Croce dipinta dalla Collezione Siviero, esposta en pendant con la Croce policroma delle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna, anche attribuita a Lippo. L’opera miniata e pittorica si confronta a quelle dei più noti miniatori (Nicolò di Giacomo, Giovanni di Fra Silvestro) e pittori coevi quali Simone dei Crocifissi e Jacopo di Paolo. Artisti con cui Lippo interagì come dimostrato dal Polittico dei Pii Istituti Educativi (Pinacoteca di Bologna).
La terza sezione, «Un pittore per la città 1400-1410: verso il Tardogotico», presenta la fase matura di Lippo, scomparso nel 1410. È l’epoca che vide la città, con il cantiere di San Petronio avviato da quasi vent’anni, aprirsi alle sollecitazioni della cultura tardogotica che tuttavia solo in parte Lippo fece proprie («Adorazione dei Magi», Pinacoteca di Bologna), perché sempre ligio alla sua formazione trecentesca. Una sintesi che, conclude Massimo Medica: «presenta un’immagine non stereotipata di Lippo di Dalmasio, pittore spesso male interpretato del quale è ricostruito il percorso stilistico, illuminando in specie i legami col vivace “milieu” artistico locale».