Il gusto di Strada per le «antichità patrie»

Al Museo Archeologico di Vigevano tutti i 260 pezzi di una collezione recentemente acquisita dal Ministero. I pezzi forti entreranno in permanenza nel percorso museale

Coppa biansata in vetro soffiato in stampo, decorata a baccellature e girali vegetali: al centro la firma dell’autore Aristeas, secondo quarto del I secolo d.C. Fotografia Luciano Caldera e Luigi Monopoli, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese
Ada Masoero |  | Vigevano

Nella scorsa estate il Museo Archeologico Nazionale della Lomellina a Vigevano aveva presentato un’anteprima della raccolta archeologica formata da Antonio Strada (1904-68), acquisita di recente dal MiC e da esso assegnata al museo vigevanese, che si apre nella più antica delle Scuderie del Castello.

Da oggi 10 febbraio fino al 4 dicembre, la mostra «La Collezione Strada», curata da Emanuela Daffra, Rosanina Invernizzi, Elisa Grassi, Stefania Bossi, esibisce per intero, nel museo stesso, i 260 pezzi (tutti restaurati) che la compongono, fra i quali, come ha spiegato Emanuela Daffra, direttore regionale Musei Lombardia, saranno scelti gli elementi più significativi per inserirli nel percorso museale.

La collezione riunisce reperti che vanno dalla preistoria al Rinascimento, ma i nuclei più ricchi datano all’età della romanizzazione della Lomellina, tra il II e il I secolo a.C., e alla prima età imperiale, tra il I e il II secolo d.C.
Olpe costolata in vetro soffiato, I secolo d.C. Fotografia Luciano Caldera e Luigi Monopoli, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese
Trovati in prevalenza nel corso di lavori agricoli e riuniti da più generazioni degli Strada nel loro Castello di Scaldasole ma giunti anche da collezioni (come la Steffanini di Mortara o la Volpi-Nigra di Lomello) acquisite da Antonio Strada, i reperti facevano parte di corredi funerari in cui figuravano ceramiche d’uso, terrecotte figurate, ornamenti, utensili, e soprattutto vetri.

Tra questi s’impone per la sua eccezionale qualità una coppa di vetro verde chiaro (già in collezione Steffanini) del I secolo d.C., di origine mediorientale, decorata con girali d’acanto e tralci di vite, certo appartenuta a una famiglia locale molto facoltosa, che è firmata dal suo artefice, Aristeas, di cui si conoscono altri quattro soli pezzi, tutti mutili però.

Fra tante meraviglie, non mancavano, come spesso accade, dei pezzi di dubbia datazione, ma un altro pregio di questi reperti è il racconto che ci tramandano del gusto per le «antichità patrie», così diffuso in Italia dopo l’Unità, nei decenni tra Otto e Novecento.
Balsamario biansato in vetro blu con anse bianche, prima metà del I secolo d.C. Fotografia Luciano Caldera e Luigi Monopoli, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese

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