Il graffitismo rilegge la storia dell’arte

L’allestimento al Palais de Tokyo rende omaggio a «Le città invisibili» di Italo Calvino

«Face scribbled on my desk» (1989), di A. One. © A. One
Luana De Micco |  | Parigi

«Il morso delle termiti», la nuova mostra del Palais de Tokyo (fino al 10 settembre), «tenta una rilettura speculativa della storia dell’arte dal punto di vista del graffitismo. Dove i graffiti non sono soggetto o estetica, ma esperienza, atteggiamento, immaginario, pensiero sotterraneo. Un’esperienza d’illegalità e vetri rotti, dell’errare dei corpi in movimento, un’attrazione per le prospettive senza luce, un romanticismo del vandalismo che si prende cura delle cose tanto quanto le distrugge»: così spiega Hugo Vitrani, curatore della mostra, già iniziatore al museo parigino, nel 2012, del Lasco Projet, un programma sperimentale sul post-graffitismo.

La mostra rende omaggio a Le città invisibili di Italo Calvino, al quale riprende il titolo, e si rifà al saggio underground White Elephant Art vs. Termit art di Manny Farber, pittore e critico cinematografico, apparso nella rivista «Film Culture» nel 1962, per il quale gli «artisti termiti si trasformano in linguaggi e pratiche più difficili da afferrare e manipolare».

Sono esposti i lavori di una cinquantina gli artisti, noti o no, tra cui A. One, John Divola, Miriam Cahn, Sophie Calle, Thomas Hirschhorn, Roberto Matta o ancora Gordon Matta-Clark. Il museo propone anche (nelle stesse date) una personale, «più introspettiva che retrospettiva», di Laura Laumiel, artista francese, classe 1948, che riunisce opere nuove e non, pensate come un’unica installazione percorsa, come suggerisce il titolo «Vous les entendez» (Li sentite), da echi, vibrazioni, voci invisibili, silenzi.

Sono allestite poi altre due monografiche: l’una dedicata a «Mountaincutters», un duo di artisti che associa diverse tecniche, fotografia, scultura, installazione, disegno, privilegiando il site specific, e materiali vari, cemento, vetro soffiato, argilla, spesso di recupero o grezzi, l’atra a «Marie-Claire Messouma Manlanbien», artista francese (Parigi, 1990), le cui origini sono in Guadalupa e Costa d’Avorio, che lavora il tessuto mescolandolo in modo poetico a materiali naturali e testo.

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