John Ruskin, «Ca’ d’Oro» 1845. Matita, acquerello, tempera su carta grigia. Ruskin Foundation (Ruskin Library, Lancaster University), Lancaster

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John Ruskin, «Ca’ d’Oro» 1845. Matita, acquerello, tempera su carta grigia. Ruskin Foundation (Ruskin Library, Lancaster University), Lancaster

Il genio di Ruskin

A Palazzo Ducale 100 opere dell’artista e critico inglese innamorato dell’Italia

Difficile trasporre in 10 sale per altrettante sezioni il «genio versatile» di John Ruskin (Londra, 1819 - Coniston, Lancashire, 1900) e l’interdisciplinarità dei suoi studi che spaziarono tra arte, architettura, letteratura, restauro, politica, economia e botanica. Tracciarne un ritratto esaustivo sarebbe risultato, scrive in catalogo Anna Ottani Cavina, tentante ma dispersivo. La curatrice, con l’ausilio della scenografia di Pier Luigi Pizzi, sceglie così di «puntare sulla vocazione» di colui che venne definito il critico più influente d’Europa «a tradurre in immagine ogni realtà» attraverso l’utilizzo di molteplici tecniche: penna, bulino, acquarello, olio, senza tralasciare l’uso del dagherrotipo.

Allestita sino al 10 giugno nell’appartamento del Doge di Palazzo Ducale, uno dei luoghi più amati e studiati da Ruskin, la mostra ne restituisce lo spirito e la sensibilità, la capacità descrittivo-analitica, il pensiero, attraverso 100 sue opere, tutte frutto di prestiti internazionali. Sono queste ultime le chiavi di lettura per avvicinarci alla complessa personalità ruskiniana e se il sottotitolo della mostra rimanda al celebre progetto editoriale in tre volumi The Stones of Venice (1851-53), non è esclusivamente allo strettissimo rapporto tra Ruskin e l’amata città lagunare che questa proposta espositiva si limita. L’iter si apre con la presentazione dell’intellettuale britannico: scatti che immortalano l’immagine senile, l’autoritratto con cravatta blu della Morgan Library di New York (1873-74), lo schizzo a matita (Lancaster, Ruskin Foundation, 1874) entrambi realizzati per l’amico Charles Eliot Norton e un cenno alla sfera degli affetti privati (Lily Armstrong e Rose La Touche, con cui Ruskin svilupperà un rapporto tormentato).

Nel percorso di conoscenza della figura ruskiniana il secondo passaggio è dedicato alle Alpi e alla fascinazione che su Ruskin seppero esercitare, durante numerosi viaggi: il Monviso, il Giura, il Monte Bianco, le Aiguilles di Chamonix, «grandi cattedrali della terra» per poi proseguire con un omaggio al pittore amato e strenuamente difeso dalle critiche del tempo: William Turner e a tre sue vedute veneziane (dalla Tate di Londra e dalla National Gallery di Washington). Né manca un affondo su come Ruskin seppe essere anche attento osservatore della natura e dei suoi fenomeni: studi di paesaggio, conchiglie, germogli, alghe marine, fogliame che egli ritrae con la stessa precisione con cui fissa su carta le girali del portale del transetto settentrionale della Cattedrale di Rouen e ch’egli considera come uno dei più bei dettagli gotici del mondo.

Poi, dopo «L’altra Italia», ove si presenta l’esito dei viaggi compiuti tra anni Quaranta e Settanta dell’Ottocento (Lucca, Firenze, Napoli, la Sicilia), ecco Venezia, città dove John farà ritorno per ben 11 volte tra il 1835 e il 1888. L’isola lagunare, di cui egli si sente figlio adottivo, è mito (da cui trae il concetto della preminenza del Bizantino e del Gotico sul Rinascimento) e ossessione, preda di una progressiva decadenza anche a causa dei primi incauti interventi di restauro che Ruskin febbrilmente annota, ritrae e condanna con lo stesso trasporto con cui documenta le sue architetture per portare a compimento le Stones.

Nelle sale dogali si susseguono i primi dagherrotipi di San Marco e Palazzo Ducale (un focus sugli originali capitelli su cui tanto Ruskin si soffermò è offerto al visitatore al Museo dell’Opera del Ducale), i palazzi veneziani che incarnano ed esaltano lo stile gotico (la Ca’ d’Oro in restauro, Ca’ Dario, Palazzo Foscari) per poi approdare a una selezione dei Venetian Notebooks (1849-50, dalla Lancaster Library, Ruskin Univesity) e fogli manoscritti (dalla Morgan Library di New York) complementari al progetto editoriale di The Stones, così come le tavole a esso correlate degli Examples of the Architecture of Venice.

Infine l’ultima sezione aggiunge un circoscritto tassello dell’incontro di Ruskin con la pittura veneziana: gli studi sulle «Dame» del Carpaccio, sul «San Giorgio e il Drago», sul «Sogno di Sant’Orsola», nonché il folgorante incontro con Tintoretto, quasi a creare un fil rouge con la grande mostra settembrina a quest’ultimo dedicata.

John Ruskin, «Ca’ d’Oro» 1845. Matita, acquerello, tempera su carta grigia. Ruskin Foundation (Ruskin Library, Lancaster University), Lancaster

Veronica Rodenigo, 24 maggio 2018 | © Riproduzione riservata

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Il genio di Ruskin | Veronica Rodenigo

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