Una veduta del Padiglione cinese alla Biennale di Venezia 2022

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Una veduta del Padiglione cinese alla Biennale di Venezia 2022

Il «de-antropocentrismo» nella cultura cinese

«Meta-scape», la mostra del Padiglione della Cina, presenta quattro artisti di diverse generazioni: Liu Jiayu, Wang Yuyang, Xu Lei e il gruppo AT

«Meta-Scape», la mostra del Padiglione della Cina curata da Zhang Zikang con Sun Dongdong, presenta quattro artisti di diverse generazioni, Liu Jiayu, Wang Yuyang, Xu Lei e il gruppo AT, che analizzano il concetto di «de-antropocentrismo» nella storia e nella cultura cinese dall’antichità alla sua recente modernizzazione. Tre i filoni principali: il corpo e la sua espressione deformata, la relazione dell’individuo con la tecnologia, la connessione tra il corpo e la terra.

«Il Padiglione della Cina deve considerare la relazione tra la propria cultura e gli sviluppi internazionali, riflettendo al contempo sul più importante motore di sviluppo sociale e artistico nella Cina negli ultimi due anni: l’interazione tra arte e tecnologia», spiega Zhang Zikang.

L’interazione tra arte e tecnologia è diventata una caratteristica importante, è il fenomeno che ha guidato lo sviluppo dei nuovi media artistici negli ultimi anni. Sempre più artisti usano strumenti high-tech per le loro opere: la mostra «Meta-scape» analizza questo aspetto dal punto di vista sia poetico sia tecnologico. Il legame tra arte e tecnologia in Cina riflette anche la continuità della cultura tradizionale nell’arte moderna e contemporanea.

«Il legame tra arte e tecnologia è portatore di un’ansia collettiva interiorizzata: l’obiettivo più importante della mostra è presentare l’arte contemporanea cinese rapportandola a una civiltà dalle origini antiche. La Cina è un Paese con tradizioni culturali millenarie e nonostante cesure epocali ha una continuità sulla base della quale si tenta di costruire una narrazione», afferma Sun Dongdong.

In «Correspondances» (2022) Xu Lei seleziona immagini della natura tratte dalla storia dell’arte cinese e occidentale: alberi stilizzati della pittura giapponese, elementi della miniatura persiana e dipinti rinascimentali. Attraverso la loro intersezione costituisce corrispondenze tra diverse civiltà.

«La pittura di Xu Lei, spiega Sun Dongdong, si inserisce nella tradizione “Xie Zhen” (descrivere il reale) che ha preceduto la pittura dei letterati e che enfatizza la scrittura. Nella storia della modernizzazione della Cina, Kang Youwei (filosofo, calligrafo e riformatore politico cinese) aveva proposto che la tradizione Xie Zhen della pittura cinese delle dinastie Tang e Song fosse collegata alla pittura realistica occidentale basata sulla scienza e sulla tecnologia. Ciò ha riportato la pittura cinese a uno stato tradizionale, assorbendo al contempo elementi occidentali, come le creazioni di Xu Lei».

Wang Yuyang (1979), studioso del passaggio nell’arte cinese moderna e contemporanea, ha interpretato il rapporto tra uomo e tecnologia come una delega del ruolo creativo dell’artista alla macchina. La sua opera in biennale, «Snowman» (2021), tratta dalla serie «Untitled» di Wang Yuyang (iniziata nel 2012), converte un contenuto testuale selezionato dall’artista in un codice binario attraverso un software di produzione 3D per generare modelli e immagini. Nella serie «Wang Yuyang#» l’artista elabora dunque un programma cui la creazione dell’opera non è più né prevedibile, né sotto il controllo dell’artista.

«I prodotti delle macchine sono estranei alle contraddizioni personali e alle esperienze che generano paradossi da cui scaturiscono nuove cognizioni, spiega Wang Yuyang. «Dopo aver visto i dipinti di Wang Yuyang ti rendi conto di come sia diverso ciò che nasce da un algoritmo, ciò che si confronta con un mondo matematico rispetto alla proiezione soggettiva di un uomo al cospetto del mondo naturale», aggiunge Sun Dongdong.

«Il mondo di oggi non è più principalmente caratterizzato dalla relazione tra uomo e natura, ma dalla relazione tra l’uomo e le cose fatte dall’uomo. Utilizzare una macchina per creare è più in linea con questo tipo di rapporto. Le persone pensano sempre di essere i creatori degli artefatti, ma nel momento in cui gli artefatti vengono creati iniziano a loro volta a influenzare la nostra concezione del mondo. Come l’automobile ha cambiato il concetto di spazio e di tempo, la tecnologia sta cambiando la nostra percezione dell’arte del passato».

Per Wang Yuyang scienza e tecnologia sono al centro della relazione tra l’uomo inteso come soggetto attivo e l’uomo inteso come oggetto passivo: «Pensiamo di essere dei creatori di cose, ma abbiamo una certa impotenza, molti fattori sono incontrollabili: è un rapporto ambivalente, di inaffidabilità nell’affidabilità».

L’atteggiamento coscientemente accidentale di Wang Yuyang nell’uso dei nuovi media è presente anche nella più giovane Liu Jiayu, che dà però della tecnologia un valore meramente strumentale: «In 10 anni di carriera non ho mai separato i termini tecnologia e arte. Credo che la sperimentazione e la percezione umana siano l’aspetto più importante e imprescindibile nella creazione artistica, la tecnologia è solo uno strumento».

Il lavoro di Liu Jiayu «Quiet and Quiet» è ispirato al primo atlante cinese (la prima rappresentazione grafica della Cina fatta dall’uomo): l’intelligenza artificiale analizza la morfologia del terreno e genera sculture tridimensionali, poi, dopo aver appreso i linguaggi degli antichi dipinti a inchiostro, l’artista proietta i risultati sulla superficie delle sculture e rimodella il paesaggio con l’intelligenza artificiale.

«Quando ero piccola ho imparato la calligrafia e la pittura cinese copiando. Quando si è abili a copiare i risultati si generano da soli. È un processo molto simile a quello di Ia. Ho pensato di combinare questi due processi. Nella mia opera, però, il risultato della proiezione sulla superficie della scultura è a colori, la pittura cinese si è evoluta insieme ai progressi tecnologici, la scelta dei materiali a disposizione del creatore è gradualmente aumentata; i cambiamenti tecnologici influenzano costantemente l’espressione artistica, di ogni epoca».

«The Jungle» di AT Group si basa su un algoritmo di rete neurale che apprende da decine di migliaia di profili di piante cinesi inserite in un database. Un modello di Ia genera piante su metallo specchiato attraverso la stampa Uv. «Il pubblico vedrà il proprio riflesso mappato sulle piante, vogliamo approfondire la relazione tra il mondo ecologico visto dagli umani e il mondo ecologico visto dall’elaboratore di dati», spiegano.

AT Group è nato durante il processo di ricerca collaborativa tra Central Academy of Fine Arts (Cafa) Institute of Sci-Tech Arts e Tsinghua Laboratory of Brain and Intelligence (Tlbi). La maggior parte dei membri del gruppo sono nati dopo il 1995.

«L’arte enfatizza ciò che rimane dopo lo sviluppo della tecnologia», dice Sun Dongdong. Che si tratti di «Correspondances» di Xu Lei, di «Snowman» di Wang Yuyang, che usa l’incantesimo di rigenerazione Nezha come testo dell’algoritmo, di «Quiet and Quiet» di Liu Jiayu, o della «Jungle» di AT Group, tutte le opere esplorano dunque un rapporto dialettico e paritario tra soggetto e oggetto nel confronto con la tecnologia e il mondo virtuale da essa costruito.

Secondo Sun Dongdong questa relazione può essere utilizzata per affrontare i problemi odierni: «I cinesi non hanno mai discusso di se stessi in isolamento, si sono messi in un sistema dove ognuno trova il suo posto. Solo davanti al prossimo possiamo trovare una sorta di autoposizionamento. Il concetto di “scape” fa scomparire la singola persona, si diventa tutt’uno con la persona che si sta osservando».

Una veduta del Padiglione cinese alla Biennale di Venezia 2022

Redazione GDA, 30 settembre 2022 | © Riproduzione riservata

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