Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Anny Shaw
Leggi i suoi articoliOn Kawara, l’ottantunenne artista giapponese che vive a New York, è protagonista della sua prima completa rassegna nella sua città d’adozione. «On Kawara - Silence», aperta dal 6 febbraio al 3 maggio al Solomon R. Guggenheim Museum, esplora ufficialmente gli anni dal 1963 al 2013, ma in realtà va oltre queste date. L’highlight è «One Million Years», epico progetto dell’artista: parte scultura e parte performance, l’opera consiste in due serie di volumi che elencano date fino a un milione di anni nel passato e nel futuro. Kawara iniziò i volumi del passato nel 1970 e ci mise due anni a completarli, mentre per gli anni del futuro, cominciati nel 1981, ce ne sono voluti diciotto. Alcuni volontari leggeranno ad alta voce dai testi ogni domenica, mercoledì e venerdì per tutta la durata della mostra. Concepita dall’artista in collaborazione con Jeffrey Weiss, senior curator del Guggenheim, la mostra è divisa in dodici capitoli e comprende opere da tutte le serie di Kawara. Il ciclo pittorico delle date monocrome, intitolato «Today» è probabilmente tra le sue opere più note. Ogni quadro raffigura una data dipinta a mano e quasi tutti sono stati inscatolati insieme a ritagli di giornale locali pubblicati nel giorno indicato dalla data dipinta. Kawara ha iniziato la serie il 4 gennaio 1966 a New York e vi ha lavorato per il resto della sua vita. Tra le altre opere, «I Am Still Alive», una serie di telegrammi inviati dall’artista ad amici nel 1970 per affermare la sua esistenza. «I Got Up» è invece composta da cartoline turistiche affrancate, in cui l’autore dava notizie sull’ora in cui si svegliava e gli indirizzi in cui abitava. «I Went» raccoglie mappe urbane con l’indicazione delle vie percorse: si tratta di diari, cronache e rappresentazioni della vita di Kawara, ma al tempo stesso di simboli universali dell’esistenza e del suo trascorrere. Come spiega Weiss, «uno degli aspetti più complessi per i visitatori sarà quello di capire che, osservando l’opera di Kawara, in realtà si vive anche un’esperienza personale sulla propria vita».
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