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Il «concorso dei 500»: un groviglio paradossale

Un contrasto non più sotterraneo divide il Ministero dei Beni culturali da quello dell’Istruzione e dell’Università sull’ormai famoso «concorso dei 500». Lo scontro avviene su alcuni punti del bando di concorso che prevede l’assunzione di 500 nuovi tecnici per coprire in parte gli esangui organici del Mibact.

Già minato da una serie di ricorsi al Tar promossi da varie categorie di candidati, il bando ha i suoi punti più deboli nei requisiti previsti per la partecipazione e la valutazione dei punteggi dei restauratori. Tra i 500, sono infatti 80 i restauratori che entreranno nei ranghi del Mibact: una serie di incongruenze, forzature e veri e propri errori nel bando hanno creato un groviglio inestricabile e paradossale.

Alcuni requisiti sono in palese contrasto con la legge, in particolare con il Codice dei Beni culturali del 2004. Tra questi vi era quello, introdotto su consiglio del Miur, che consentiva la partecipazione al concorso a chi è uscito dai corsi universitari magistrali in Scienze per la Conservazione dei Beni culturali, laureati che non possono avere alcuna esperienza di restauro: eppure il bando li poneva a un livello addirittura superiore ai restauratori usciti entro il 2009 dalle Scuole di Alta Formazione (Saf) del Mibact (l’eccellenza italiana del settore: Opificio delle Pietre Dure di Firenze, Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro e Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio archivistico e librario di Roma), a cui ancora non è stata riconosciuta l’equipollenza del loro titolo a quello della laurea magistrale.

Il Mibact, ora impegnato a difendere il loro diritto, ha riconosciuto l’errore e in ritardo, a bando pubblicato, ha cancellato quel paragrafo con il rischio di ulteriori ricorsi.

Ma altre incongruenze minacciano il bando dei 500 nella parte che riguarda i funzionari restauratori: è prevista la possibilità di partecipare al concorso alla pari dei diplomati Saf, gettati nello stesso calderone, a chi abbia svolto per 8 anni un lavoro nel campo del restauro anche senza avere titolo di studio: il bando considera questa condizione «equipollente» alla laurea magistrale richiesta, in base a una «sanatoria» prevista dal Codice dei Beni Culturali. Uno schiaffo ai veri restauratori.

L’associazione Ora, che raccoglie oltre 300 diplomati Saf, cerca da tempo di ottenere dal Ministero ciò che è previsto esplicitamente dal Codice: l’equiparazione del proprio diploma alla nuova laurea magistrale (Lmro2) istituita nel 2011 dal Ministero dell’Istruzione e dell’Università. Una «equipollenza» però sempre negata in via ufficiale anche se affermata proprio dall’Opificio delle Pietre Dure che ha rilasciato certificati ai suoi diplomati ante 2009 (firmati anche dall’ex soprintendente Cristina Acidini) nei quali si afferma che quel diploma di restauratore, secondo l’art. 29 comma 9 del Codice del 2004, è senz’altro «equiparato alla laurea Magistrale».

Non basta: sono in vista altri ricorsi ai Tar. Un’altra macroscopica incongruenza riguarda infatti tutti quelli che alla domanda del bando (chiuso il 30 giugno) hanno risposto di essere già in possesso dei titoli di ammissione richiesti. La maggioranza di loro non può avere la certezza di aver dichiarato il vero. Infatti la procedura per l’acquisizione della qualifica di restauratore sarà completata solo alla fine di luglio e a decidere sarà il controllo di una Commissione interministeriale Ripam (5 membri del Miur, 1 del Mibact) che dunque concluderà i lavori un mese dopo la chiusura del bando. Un pasticcio burocratico che potrebbe essere sanato da una serie di correzioni del Bando, pensabile soltanto se la procedura e il bando stesso venissero sospesi.

Edek Osser, 11 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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